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CAPITOLO 6
Spazi vuoti
Dalla finestra socchiusa arrivava l’odore dei pini del bosco e un cinguettio faceva da sottofondo ai loro ragionamenti, «Credo che a un certo punto si senta il bisogno di un contatto, della vicinanza di qualcuno che ti faccia smuovere il sangue, di una persona che ti dimostra interesse».
«Il famigerato contatto umano?».
«In un certo senso, ma può essere anche un ripiego che ti occupi la mente», nell’osservare la sua espressione perplessa continuò nella sua esposizione, «Prendi suor Palmira per esempio: lei riempie gli spazi vuoti con i suoi romanzi rosa».
Lo guardò sgranando gli occhi «Allora lo sai!».
Rise sonoramente, «Lo sanno tutti, li lascia in giro pensando che nessuno si sia accorto che scambia le sovra copertine con quelle di qualche testo sacro. Ma chi vuoi che la rimproveri?! Sognare storie d’amore non nuoce a nessuno», lo disse con un tono di voce più basso del dovuto.
«Tu con cosa hai riempito gli spazi vuoti?».
«Nessun mistero: i miei libri. Sono sempre stati la mia passione fin da ragazzino e quando il parroco della mia parrocchia mi ha iniziato ai segreti della teologia non ho saputo resistere. I testi antichi sono diventati la mia unica ragione di vita».
«Per questo hai preso i voti?».
«Mi è sembrato naturale, come se si trattasse di seguire una strada già tracciata per me. Le mie inclinazioni allo studio, la fede che rinnovavo nel prendere coscienza del servizio sacerdotale a cui ero stato chiamato; mi è parso di seguire un cammino tracciato apposta per me».
«Lo volevi fin da piccolo?».
«Non direi, ho vissuto normalmente fino al diploma. Una vita ordinaria, senza troppe pretese. Poi ho approfondito la conoscenza dei testi sacri, e già durante il corso di laurea qualcosa iniziava a smuoversi. Quando mi ritrovavo immerso in alcuni libri tutto il resto svaniva all’improvviso e mi sentivo al posto giusto, come se dedicarmi completamente ai miei studi fosse la mia missione. Non so se mi spiego».
«Quindi la “chiamata” ti è arrivata tramite le pagine dei libri?».
«Non saprei risponderti, so solo che quando si è prospettata la possibilità di entrare in seminario e mi hanno garantito che avrei potuto continuare i miei studi, non ci ho pensato due volte.
Ho parlato apertamente con i miei genitori, che inizialmente non erano molto entusiasti della mia scelta, con parenti e amici che tentarono di dissuadermi, e con la mia fidanzata dell’epoca: Arianna, era la morettina con cui ho ballato la sera del mio compleanno».
«Oh, me la ricordo. In effetti ti guardava in modo strano».
«Strano?!».
«Non so, traspariva una certa intimità», nel dirlo si rese conto di aver mentito, quella sera nel vederli ballare insieme aveva pensato che sarebbero stati una bellissima coppia e che dal modo in cui lei lo guardava, sembrava dimostrare un certo interesse. Probabilmente non si era sbagliata, chissà come sarebbe andata tra di loro se lui non avesse scelto un’altra strada?
«Siamo stati insieme due anni, io venivo fuori da una storia travagliata e lei era alle prime esperienze. Siamo stati bene e ha sofferto molto per il mio drastico cambiamento nello stile di vita, ma poi si è rassegnata, ha trovato un bravo ragazzo con cui ha messo su famiglia e siamo ritornati in buoni rapporti».
«Mh!».
«Cosa?».
«No, no, nulla», ci avrebbe scommesso lo stipendio che lei se lo sarebbe ripreso senza nemmeno doverci ragionare, in qualsiasi modo, se anche lui si fosse proposto come amante la mora se lo sarebbe fatto bastare. “Cos’è che ti rode? È una punta di gelosia quella apparsa all’orizzonte? Zitta scema!”. «Te ne sei mai pentito?».
«Della scelta di seguire la mia vocazione?».
Annuì in silenzio.
«Ho vissuto serenamente per molti anni, assorbito completamente dagli impegni e dai miei studi, ho avuto modo di conoscere e confrontarmi con personaggi autorevoli che mi hanno insegnato tantissimo.
Forse preferiresti sentirmi dire che me ne sono pentito e che in alcuni momenti ho la sensazione di aver seppellito la mia giovinezza fra le pagine polverose di immense biblioteche?».
«Affatto, perché dovrei?», non era certa di comprendere il fine della domanda.
«Che tu lo pensi o meno, in effetti mi è capitato… ultimamente», lo sguardo fisso su di lei risultò più eloquente di mille ragionamenti.
Si sollevò decisa a sviare una volta di più il discorso in cui tentava di incastrarla, «Devo andare», stava già pensando a scappare via dalla baita in montagna in cui avevano trascorso il fine settimana.
Le prese la mano, mentre si alzava e la costrinse a fermarsi, «Perché non mi chiami mai?».
«Che vuol dire?», lo sguardo basso, incapace di fissarsi nel suo.
«Non lo fai mai, in pubblico mi dai del lei, mi saluti cordialmente, ma eviti accuratamente di chiamarmi, e anche in privato non pronunci mai il mio nome».
«Sarà un caso…».
«No, non lo è. Spiegami perché lo fai», non le avrebbe dato modo di scappare via evitando la discussione.
Con uno sbuffo si liberò dalla sua presa e gli diede le spalle, «Come dovrei chiamarti? Non ci riesco a darti del “Don”, non mi viene».
«Anche io ho un nome, e ci siamo solo tu e io adesso», si era accostato alle sue spalle allungando lentamente una mano sul fianco destro. Si rassicurò che non ci sarebbero state rimostranze e aderì con il petto contro la sua schiena, cingendola con le braccia, avvicinando le labbra all’orecchio, «Chiamami, ora», un sussurro, una preghiera, una richiesta di accettare la vicinanza sotto qualsiasi forma si stesse proponendo.
«Io…».
«Ludo, esistiamo solo noi due, qui e adesso. Il resto del mondo è tagliato fuori; non hai bisogno di sapere cosa accadrà domani o il giorno dopo… Il mio nome».
Si lasciò baciare sul collo, sentì l’alito caldo scendere lungo le spalle e ritornare sulla guancia, in attesa. «Ettore…».
Gli occhi chiusi e il corpo avvolto in un turbinio di passione da cui risultò impossibile difendersi. Era inerme di fronte a quella donna che aveva risvegliato la sua ferma volontà di accedere a sentimenti sconosciuti, che lo facevano sentire vivo, vitale, uomo.
Già, ecco la spiegazione di quello che la sua mente stava elaborando circa l’attacco subito dalle pulsioni: con lei non era il sacerdote, il bibliotecario, lo studioso, nessun ruolo ricoperto le interessava quanto la propria essenza.
Per lei era solo un uomo e questo lo aveva destabilizzato quanto reso orgoglioso di riuscire a destare il suo interesse.
E se questa condizione si fosse rivelata, in estrema sintesi, l’unica da ritenere di una qualche validità? Se dal momento in cui ne avesse riconosciuto il valore, non fosse più riuscito a rinunciarci? Se da adesso in poi gli fosse importato di essere e comportarsi esclusivamente come un semplice uomo?
Se dalla risposta a tutte queste domande fosse dipeso il suo futuro? Se rivalutando le proprie scelte avesse dovuto ammettere una modifica alla rotta prestabilita?
E se in ultima analisi, non si fosse trattato di un semplice passo falso ma dell’unica via da seguire?
Se…
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