martedì 31 maggio 2022

La religione Bön ... TRADIZIONI E LEGGENDE DI UN VILLAGGIO TIBETANO


 

RELIGIONE BÖN, SPIRITUALITA’ E SIMBIOSI CON LA NATURA

TRADIZIONI E LEGGENDE DI UN VILLAGGIO TIBETANO

 

 

Ciao a tutti, 

oggi vi parlo di una delle tradizioni spirituali più antiche del mondo e tutt’oggi praticata dalle popolazioni dell’Altipiano himalayano. 

La religione Bön era l’antica fede del Tibet e del Nepal prima della diffusione del Buddismo. Era ed è praticata anche in alcune zone dell’India, del Bhutan e nelle province cinesi del Sichuan, del Gansu e dello Yunnan, dove io ho vissuto per otto anni. La figura e gli insegnamenti di Buddha furono introdotti in Cina intorno al settimo o ottavo secolo dopo Cristo e, prima di allora, in varie aree geografiche dell’Asia, si professavano le fedi originali: taoismo, confucianesimo, culti e riti popolari, sciamanesimo e animismo. 

La religione Bön è legata a queste due ultime pratiche religiose, infatti è un insieme di credenze, di tecniche magico-rituali ed estatiche che portano a una connessione con il mondo ultraterreno. Nel periodo storico della rivoluzione culturale tutto ciò era considerato feudalesimo e superstizione, ora è tutelato come cultura tradizionale. La fede Bön è simile al Lamaismo per gli aspetti tantrici ed esoterici, ma si differenzia dal Buddismo in quanto non crede nella reincarnazione. Per i fedeli di questa religione l’anima del defunto si fonde con il tutto e con la natura circostante.

 

                                                                                Foto di Fiori Picco

 Il rapporto simbiotico tra l’uomo e gli elementi naturali è straordinario ed è spesso descritto nelle opere letterarie orientali. Lo scrittore di best seller A Lai fa un ritratto vivido e realistico di questa unione nel suo romanzo “Dolore e rinascita tra le nuvole”, in cui il protagonista, di nome Aba, è il depositario spirituale dell’antica tradizione Bön e riveste il ruolo di medium tra il mondo degli umani e quello degli spiriti. Dopo il terribile terremoto di magnitudo 8.0, avvenuto il 12 maggio 2008 nella provincia del Sichuan, il villaggio tibetano di Tra Le Nuvole è stato raso al suolo insieme a molti altri centri abitati e sono morte tantissime persone. Molte sono rimaste gravemente ferite e i superstiti sono stati trasferiti in un luogo sicuro e distante ricominciando una nuova vita. Ma Aba non vuole un’altra vita, è troppo legato alle sue radici e alla cultura di appartenenza, perciò torna sui monti, nel villaggio ricoperto dalle macerie in cui ormai non rimane più nulla, se non un fortino in pietra miracolosamente rimasto integro, piante e fiori selvatici che crescono selvaggi nei campi abbandonati e i resti delle case distrutte. Torna a Tra Le Nuvole con l’intenzione di rimanervi per sempre, anche se sa che il villaggio è destinato a scomparire a causa di un’enorme crepa che un giorno spaccherà la terra su cui l’antico borgo poggia.

 

 

                                                                               Foto di Fiori Picco

 

Aba è disposto a morire pur di non lasciare il luogo in cui è nato, cresciuto e ha vissuto gran parte della sua esistenza. Questa è una tematica ricorrente nella letteratura cinese che rispecchia la realtà e la società in cui vivono le minoranze etniche. Molte di queste etnie vivono sui monti sperduti, in zone impervie, isolate e di confine, dove le strade non sono asfaltate e si attinge l’acqua al pozzo o direttamente da un ruscello. Il Governo cinese negli anni ha attuato diversi piani di trasferimento, per permettere a queste popolazioni di condurre una vita più dignitosa, ma molti vi hanno rinunciato, soprattutto gli anziani che, avendo abitudini radicate, vogliono continuare a usare il braciere anziché il fornello elettrico o a gas, a spaccare la legna e a usare la pietra focaia, e quindi sono tornati sui monti.  Appartengono a culture tribali con abitudini e usi millenari e difficilmente si adattano alla vita moderna e ai suoi comfort.

 

                                                                              Foto di Fiori Picco

 

Da sacerdote del villaggio Aba ha un compito fondamentale: deve placare le anime delle persone morte sotto le macerie, dei fantasmi che non hanno ancora compreso di essere tali in quanto la morte è avvenuta in modo violento e repentino o che non si rassegnano dinnanzi al destino. Per consolarli e rasserenarli usa gli strumenti musicali sacri: il tamburo e le campanelle che hanno il potere di comunicare con il paranormale. Si agghinda e si prepara per i rituali: indossa gli stivali a punta, la tunica bianca in tessuto tibetano, il mantello di pelle di capra, il cappello a calotta di nappa con appuntate le piume colorate di un fagiano.  Attraverso recite salmodiate e canti mistici parla agli spiriti, ad Awutapi, il grande dio della montagna innevata, che su alcune pergamene antiche viene rappresentano come un eremita, con barba e sopracciglia bianche e un cappuccio nero a punta con orli dorati, oppure come un guerriero con l’elmo d’argento e una corazza grigio scuro, mentre impugna una spada e cavalca un destriero bianco. Per Aba Awutapi è tutto, la sua fede incondizionata è ammirabile, insieme al rispetto e al ricordo costante dei defunti.

 

                                                                              Foto di Fiori Picco

 Aba è un uomo semplice e autentico. Ama gli animali che lo accompagnano verso la fine: Fronte Bianca e Zampe Nere, i suoi  fedeli cavalli  (in Cina il miglior amico dell’uomo non è il cane ma il cavallo), un giovane cervo che scende dai monti ogni mattina e che visita il suo orto mangiando tutte le rape e i cavoli, i corvi dal becco rosso che volano in cielo e sorvegliano il fortino come spiriti protettori. Ci insegna a convivere in modo armonioso con la flora e con la fauna e ad accontentarci delle piccole cose. Contempla la vegetazione come in una sorta di meditazione trascendentale. Piega un ramo di salice, lo intinge nell’acqua e se lo passa su tutto il corpo. In questo modo spazza via terra e polvere e i “demoni dannosi che gli occhi non vedono”. Mangia una focaccia che ha cotto sulla brace e, non avendo niente da bere, strappa degli steli di acetosella dalle fessure in mezzo alle rocce, li mastica e il succo acido gli riempie la bocca dissetandolo. Ricorda le vecchie storie che raccontano le origini di Tra Le Nuvole: in principio il patriarca e dio Awutapi arrivò con la sua gente e incontrò “le popolazioni dalle gambe corte” che parlavano la lingua degli uccelli e indossavano foglie e cortecce. Invoca gli spiritelli birichini “monopiede” che, secondo i credenti della religione Bön, vivono nei boschi, nei campi e nei cespugli, sono allegri e dispettosi perché incarnano le anime dei bambini felici, e lasciano nel fango e nella brina le loro impronte tonde, piccoline e a grappoli. Ci trasmette il significato profondo della “memoria” e della consapevolezza della nostra identità culturale. E mentre dialoga con l’anima della sorella, un bellissimo iris spalanca i petali e sembra volare come “un silenzioso elfo blu”.   

 

FIORI PICCO

 

 

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