Ciao,
dal libro Fabula Rasa una nuova favola che Tiziana ci regala.
Buona lettura :)
La Mantellina Rossa
La ragazzina camminava di buon passo seguendo il sentiero, la cesta era pesante, ma non poteva permettersi di rallentare il passo. |
Più volte si era voltata a destra e a manca per essere sicura di non incappare in personaggi spiacevoli lungo il cammino.
Non si era però accorta di due occhi lampeggianti che non si erano persi uno solo dei suoi movimenti e la seguivano lungo il percorso, nascondendosi accuratamente dietro i cespugli.
La ragazza posò sull’erba la capiente cesta che usava sempre per trasportare gli ottimi manicaretti preparati dalla mamma, si stiracchiò a lungo per riposare braccia e schiena e fu proprio allora che una massa di peli sbucò dal bosco e le saltò addosso.
Rossana si ritrovò atterrata, mentre una cinquantina di chili le gravavano sul petto e il fiato le arrivava dritto in faccia.
Fu quando avvertì le prime leccate sulle guance che protestò, «Ti avrò ripetuto mille volte di non uscire allo scoperto», la rimproverò aspramente cercando di contenere le sue effusioni.
«Ma ho riconosciuto il tuo odore, per questo ti sono venuta incontro, sta’ tranquilla, siamo da sole», rispose prontamente per giustificare l’imprudenza.
Si era spostata di poco consentendo alla sua amica di tirarsi su.
«Va bene, ma lo sai che devi fare attenzione, il bosco è pieno di cacciatori, si divertono a togliere la vita agli esserini indifesi, con te farebbero una bella pelliccia», le raccomandò accarezzandola amorevolmente sulla testa per mitigare il rimprovero.
Lupa accettò le coccole e lo sguardo le cadde nella cesta «Mmhh, che mi hai portato?», chiese avvertendo un brontolio sommesso partire dalla pancia.
«Ciambelline, ma non sono tutte per te, dobbiamo lasciarne un paio per la nonnetta», si raccomandò tuffandosi con il viso nel manto morbido della lupa. «Sbrighiamoci, se arriviamo presto la nonna ci prepara anche una cioccolata calda. Ti andrebbe?», chiese raddrizzando il cappuccio della mantellina rossa da cui non si separava mai.
«Non rifiuto mai le leccornie, e tua nonna mi vizia sempre. Posa la cesta sulla mia schiena, così ti aiuto a portarla», si offrì afferrando il manico tra i denti.
Le due amiche si incamminarono addentando ciambelline e chiacchierando del più e del meno.
Si erano conosciute mesi prima, quando Rossana, di fretta come al solito, si era messa a correre per tornare a casa e non si era accorta di una tagliola posta sul cammino.
Non fosse stato per Lupa, che la spinse bruscamente di lato, di sicuro ci avrebbe rimesso una gamba.
La ragazzina dapprima parve timorosa, le avevano insegnato fin da piccola che i lupi sono cattivi e pericolosi, ma era bastato guardare gli occhi di quell’essere maestoso dal manto luccicante per decidere che non costituisse un pericolo, ma che, anzi, dal pericolo l’aveva salvata.
Dal giorno di quell’incontro fortuito si erano riviste tutti i pomeriggi, cementando un’amicizia leale e sincera.
L’unica a conoscenza del loro segreto era la nonna di Rossana, che aveva accolto Lupa senza porsi troppi problemi.
In casa sua tutti gli esseri di buon cuore erano ben accetti.
Il suo più grande cruccio era quello di aver messo al mondo un unico figlio, di aver cercato in tutti i modi di impartirgli le buone maniere, insegnandogli il rispetto per la natura e l’intero creato, raccomandandogli di essere amorevole e gentile con tutte le creature e lui che fa?! Decide che degli insegnamenti di sua madre non sa che farsene e preferisce diventare un cacciatore.
Un cacciatore, ci pensate?!
Una follia in cui aveva trascinato anche il suo primogenito, il fratello maggiore di Rossana.
Arturo, questo il suo nome, era un giovane di bell’aspetto, forte e generoso, volenteroso e sempre pronto a compiacere il padre, quantunque si trattasse di imbracciare un fucile e sparare a uccellini e volpi.
Era di indole mite, e mai si sarebbe sognato di trasgredire alle regole con la stessa disinvoltura dimostrata dalla sorellina.
La ragazzina, infatti, aveva sempre dato del filo da torcere ai genitori, per nulla disposta a sottomettersi a regole che non condivideva affatto, pronta a battersi per le proprie idee e a sfidare punizioni e minacce.
Si era dichiarata apertamente contraria all’attività paterna e il genitore si infuriò con la nonna per averle trasmesso testardaggine e sciocche credenze.
Ma Rossana, per nulla impressionata dalle sfuriate del padre, non si mosse di un millimetro dalle proprie posizioni, sabotando appena possibile le trappole nascoste nel bosco, liberando gli uccelli che utilizzavano come richiamo, manomettendo tagliole e reti.
Ogni volta che i due cacciatori trovavano tracce del suo passaggio gliene chiedevano conto e lei evitava di mentire, ammetteva le proprie responsabilità e prometteva di continuare tentare di salvare quelle povere bestiole che loro non vedevano l’ora di sacrificare.
A nulla servirono le urla degli uomini e le richieste della mamma di scendere a più miti consigli, sapeva bene che non sarebbero passati ai fatti.
E i due dovettero dare atto alla ragazzina di una notevole dose di coraggio, quando rischiò di rimetterci la pelle.
Non era ancora l’alba, i due cacciatori erano usciti di casa in silenzio per evitare di svegliare le donne.
Erano intenzionati a raggiungere prima di mezzogiorno il picco della montagna per fare incetta di uccellini.
Dopo nemmeno mezz’ora di cammino il padre fece cenno al figlio di fermarsi e ascoltare, sollevò la mano come segnale convenuto e indicò un folto cespuglio di fronte a loro.
Il tempo di imbracciare i fucili e prendere la mira, che un grosso lupo apparve dal verde del bosco.
Le dita pronte sui grilletti e i fiati sospesi, un solo attimo di concentrazione e il grido di una voce conosciuta che fuoriusciva dal bosco: «NOOO!».
Gli uomini rimasero stupiti nel ritrovarsi sulla linea di tiro Rossana, che aveva allargato le braccia e proteggeva il lupo facendogli scudo con il proprio corpo.
Il padre le ordinò di spostarsi, senza perdere la mira sulla bestia «Sei impazzita? Ti sbranerà», preoccupato della fine che di lì a poco avrebbe sicuramente fatto sua figlia.
Arturo aveva abbassato il fucile, terrorizzato di colpire sua sorella, non era molto bravo a sparare ed era certo che l’agitazione non sarebbe di sicuro stata d’aiuto, «Rossy, per carità, spostati», la implorò.
«Non azzardatevi a farle del male, è mia amica», le gambe divaricate e il tono fermo.
La determinazione che stava dimostrando lasciò perplessi i due cacciatori.
«Amica di un lupo? Ma che ti salta in mente?! Sono dei predatori cattivi e senz’anima», ribatté il padre tenendo l’occhio sul mirino, «Adesso spostati lentamente», ordinò a bassa voce.
Per nulla intimorita, si fece avanti, «Se vuoi sparare a lei, dovrai uccidere prima me». Ci accertò che suo padre comprendesse bene che non si sarebbe tirata indietro e girando di poco la testa disse sottovoce «Lupa scappa».
Attese di sentire i passi allontanarsi, lanciò a suo padre uno sguardo di sfida e corse dietro la sua amica.
Quella sera non fece ritorno a casa, rimase a dormire dalla nonnetta, sul divano insieme a Lupa.
Erano ancora agitate per quanto avvenuto quel giorno, ma consapevoli di aver aggiunto un ulteriore tassello che avrebbe cementato la loro amicizia nel tempo.
Il giorno successivo, nel fare ritorno a casa, si imbatterono nuovamente nei due uomini, si acquattarono dietro i cespugli per evitare di essere viste e li superarono di poco.
Neanche il tempo di perderli di vista che sentirono Arturo lanciare un urlo: avevano stanato un cinghiale, il padre lo stava spingendo verso il ragazzo il quale, nelle intenzioni, avrebbe dovuto sparargli.
Ma il piano non aveva tenuto conto del tentennamento del giovane e inesperto cacciatore, che nel trovarsi di fronte un bestione di oltre cento chili si lasciò prendere dal panico e rimase imbambolato con il fucile tra le mani, urlando a più non posso mentre veniva caricato.
Il padre si trovò in enorme difficoltà, puntava il fucile, ma non osava far fuoco per paura di colpire Arturo, e allo stesso tempo non riusciva a distrarre il cinghiale per allontanarlo dal figlio.
Appena vide che il cinghiale caricò Arturo si fece avanti pur sapendo di non avere alcuna possibilità di cavarsela contro una bestia di tali dimensioni.
Fu allora che dal bosco intervenne in soccorso qualcosa dal manto grigio che non riuscì immediatamente a identificare.
Solo quando l’aiuto inaspettato prese a ringhiare contro il cinghiale, la riconobbe: la lupa a cui stava per sparare il giorno precedente, quella di cui sua figlia si era dichiarata amica.
Il ragazzo era rimasto pietrificato e incredulo dallo scambio di battute a cui stava assistendo: i grugniti e i ringhi concitati si tramutarono presto in parole smorzate, che man mano divennero frasi dal senso compiuto.
Ascoltava e pensava: “Sono svenuto e sto sognando, oppure sono allucinazioni, o sono morto…”, questi i pensieri che gli attraversarono la mente mentre la lupa chiedeva al cinghiale di spostarsi, tentando di convincerlo con le buone e con le cattive.
Dopo pochi attimi fu in grado di comprendere tutta la conversazione intercorsa tra le due bestie.
«Lo sai bene che dolore mi hanno causato: hanno ucciso la mia compagna senza provare la minima pietà, lasciando orfani i miei cuccioli!».
E Lupa, mestamente dovette convenirne «Lo so bene mio caro, ero molto amica della tua compagna e l’ho pianta insieme a te, non ricordi?!», aveva abbassato i toni, nel rispetto del lutto subito.
«E allora perché li difendi? Perché ti sei intromessa? Perché gli vuoi risparmiare la vita?», il cinghiale proprio non voleva saperne di arretrare e continuava a urlare le sue domande proprio in faccia ad Arturo, che con lo sguardo sgranato non osava credere alle proprie orecchie.
«Perché sono amica di Rossana, e credo che anche questi due possano imparare a vivere in armonia», si era avvicinata ancora di un paio di passi.
«Mi stai chiedendo molto nel pretendere che io mi trattenga dal vendicarmi», la rabbia covata pareva tangibile.
«Te ne renderò conto, e lo faranno anche loro, ne sono certa», formulò una promessa che non era certa nemmeno lei di poter mantenere, ma al momento appariva urgente salvare il ragazzo dalla furia del suo amico, e lo avrebbe fatto con ogni mezzo, a costo di dover mentire. Lo doveva a Rossana.
«Ti stai gravando della fine delle prossime vite che prenderanno, sai anche questo?», non avrebbe ceduto facilmente.
«Me ne assumo ogni responsabilità», rispose prontamente sollevando lo sguardo fino a incrociare gli occhietti piccoli e bruni del cinghiale.
«Pur sapendo che la prossima che reclameranno potrebbe essere proprio la tua?», un’ultima doverosa provocazione.
«Non si ottiene la fiducia del prossimo senza correre rischi…».
Per nulla contento, ma desideroso di andare incontro alle richieste della vecchia amica, decise di accettare.
Con uno sbuffo e uno sguardo corrucciato si scansò dal petto di Arturo e lo liberò dal proprio peso raggiungendo i piccoli che avevano assistito alla scena dal limitare del bosco, preoccupati di perdere anche il padre.
Rossana corse ad abbracciare il fratello, bianco come un cencio e privo di forze.
Ringraziò con lo sguardo Lupa e l’accarezzò dolcemente sulla fronte.
Il padre era rimasto attonito e incerto sul da farsi.
Arturo inspirò a fondo e ringraziò la lupa per lo scampato pericolo, si sollevò e andò incontro al padre, accettando l’aiuto di Rossana per rimettersi in piedi, aveva le gambe molli e sembrava ondeggiasse più che camminare.
«Non ti seguirò più in questa follia. Mi hai raccontato solo bugie: gli animali non sono affatto stupidi, e hanno dei sentimenti. Soffrono e sono in grado di essere nostri amici», poi vedendo che il padre non rispondeva alzò la voce «Li hai sentiti? Hai ascoltato i loro discorsi?
Sono certo di non essermeli immaginati, e li hai sentiti anche tu», poi del tutto spazientito gli urlò in faccia «Insomma, rispondi!».
Incapace di proferire alcuna parola, afferrò il fucile che si era lasciato cadere ai piedi e si avvicinò alla lupa.
Rossana si mise in mezzo preoccupata che il padre potesse avere ancora delle cattive intenzioni, ma lo sguardo fermo la convinse a scansarsi.
L’uomo guardò la lupa che era rimasta all’erta e pronta a difendersi, fissò gli occhi sul fucile prima di sollevarlo e lanciarlo con quanta forza possedeva giù dalla scarpata.
Poi si accasciò in ginocchio con le mani a coprire il volto intriso di vergogna e iniziò a singhiozzare chiedendo perdono per il comportamento sciagurato tenuto fino a quel momento.
Solo allora Lupa si rilassò, e, avvicinandosi lentamente, posò una zampa sulla spalla dell’uomo invitandolo a sollevare il capo.
Si scambiarono un lungo sguardo d’intesa che siglò l’inizio non di una breve tregua, ma di una duratura amicizia.
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