Ciao,
oggi siamo in compagnia di Davide
per parlare del suo libro.
Buona lettura...
MC – TI va di raccontare a chi ci legge qualcosa di te?
Davide Rocco – Per prima cosa, vorrei ringraziarti per l’ospitalità. (di nulla, è un piacere fare la tua conoscenza) Ti confesso che provo sempre un po’ di vergogna a presentarmi e a raccontare qualcosa di me, come se fossi quel bambino, che sono stato e neanche troppi anni fa, al primo giorno di scuola. Mi è rimasta nel cuore la frase di una canzone, che dice proprio [Sono] Il primo giorno di scuola di un piccolo uomo / che ha vergogna a parlare. In generale comunque penso a me stesso come ad un sognatore o a un guerriero della luce, vale a dire un uomo che, nonostante la vita abbia provato ripetute volte a spezzarlo, e incluse tutte le esperienze che lo hanno fatto sanguinare, ancora crede nel buono e nel bello, e che i sogni e l’amore, quelli veri, possono salvare il mondo, e prima ancora noi che lo abitiamo.
MC – Quando hai cominciato a scrivere?
DR – Ricordo di aver scritto già da piccolo – mi piaceva arricchire i miei disegni con parole e frasi di canzoni; scrivevo lettere, anche d’amore, alle mie compagne di classe ai tempi delle elementari, e poi durante le medie preparavo pezzi giornalistici accompagnati da classifiche musicali per riviste che immaginavo di pubblicare; sempre durante le medie, e soprattutto alle superiori poi, ho scritto tantissime canzoni e qualche poesia qua e là.
MC – Come mai scrivi poesie?
DR – Non ho una risposta sul motivo – sui perché – scrivo poesia. Mi piace pensare che ad ognuno di noi è stato donato un talento (o anche più talenti), e che a me sia stato trasmesso quello della poesia. Mi piace infatti il lato romantico dell’idea secondo cui è stata la Poesia a scegliere me.
MC – Hai scritto anche qualche racconto o altre cose o solo poesia?
DR – Ad oggi, ho solo scritto poesia. Mi piacerebbe molto, un giorno, essere capace di scrivere un romanzo. (vedrai che al momento giusto... lo farai)
MC – Quando hai scritto il primo libro e quale è stato quello pubblicato?
DR – Il primo libro che ho pubblicato coincide anche con quello che, per primo, ho messo insieme con le poesie che allora avevo disposizione: Frammenti di parole, nel 2010.
MC – Ricordi come ti sei sentito quando lo hai pubblicato?
DR – Si tratta dello stesso mix – o caos – di sensazioni che accompagna ogni mio libro, appena ne ho la versione stampata con me: sono incredulo, felice e curioso. Ma soprattutto prevale la curiosità nella misura in cui, giorno dopo giorno, mi avvicino al libro con lo stesso spirito che guida i cani alla scoperta dell’ignoto, e verso dopo verso inizio a prendere consapevolezza del progetto.
MC – Hai partecipato a molti concorsi, cosa ti ha spinto a farlo e cosa hai provato quando hai ricevuto premi e riconoscimenti.
DR – A partire indicativamente dal 2006/2007, ho iniziato a dedicarmi con maggiore consapevolezza, o responsabilità, alla poesia, e facevo leggere i miei versi a quelle compagne di università con cui condividevo il tragitto in treno casa-università; e proprio su suggerimento di alcune di loro ho provato a sottoporre poi le mie poesie ai primi Premi Letterari. E vedere che quanto raccontavo nei miei versi veniva capito, approvato e apprezzato attraverso premi e riconoscimenti mi ha fatto sentire meno solo.
MC – Molte tue poesie sono state tradotte, cosa hai provato quando lo hai saputo e quando le hai lette?
DR – Posso dire che ogni volta in cui mi propongono la traduzione di una mia poesia in una lingua diversa dall’italiano per me è come la prima volta: è un’emozione che non sono capace di racchiudere in parole, soprattutto perché si tratta di una condivisione che mi conferma che non sono mai veramente solo come penso.
MC – Se non sono indiscreta, come mai usi spesso il termine “solo”?
DR - Ė un termine che ricorre spesso, “solo”, perché mi sono sentito molto solo un tempo finché in terza superiore ho scoperto la Filosofia e ho capito, per la prima volta, che i miei stessi dubbi, le mie paure, il sentirmi un outsider e lo struggimento di capire i perché della vita avevano animato altri prima di me. È stata una scoperta per certi versi sconvolgente, che è stata capace di farmi incastrare – come il pezzo con il puzzle intero – con l’Universo. Ancora oggi attraverso momento di solitudine, e riesco a superarli grazie all’arte: a volte con la poesia, altre con la musica. Superarli significa rendermi conto che la solitudine che vivo è solo apparente, e che vi è una connessione straordinaria tra tutti noi e tra noi e il Mondo. (ottimo argomento per AperiChiacchiarata)
MC – Parliamo del tuo ultimo libro che hai pubblicato, come mai hai scelto questo titolo?
DR – Mi diverto spesso a raccontare che non sono io a scegliere i titoli dei miei libri, ma sono i miei libri che mi trasmettono il titolo con cui vogliono materializzarsi nella forma scritta. Di conseguenza penso che D come Davide – Storie di plurali al singolare stia ad indicare proprio quello di cui parlavamo poc’anzi: una poesia condivisa diventa una storia universale, e una storia universale sottolinea il fatto che non esiste quella solitudine nella quale siamo convinti di vivere, e che siamo tutti in un modo o nell’altro connessi.
MC – Quante sono le poesie all’interno del volume e come le hai scelte.
DR – Le poesie che formano il mio libro sono una ventina, e hanno deciso loro quali essere e in che ordine apparire. È un procedimento che definisco istintivo allo stato puro nella misura in cui in pochi minuti ho la bozza pronta e, solo quando il libro è stampato e l’ho davanti a me, inizio pian piano a rendermi conto della sua creazione.
MC – hai un primo lettore a cui ti rivolgi per avere un giudizio?
DR – Dai tempi dell’università, non ho più un primo lettore per le poesie. Sto facendo un lavoro con me stesso per avere più fiducia in me stesso, nel mio sentire e nel mio personale giudizio (chi mi conosce sa che sono über-critico nei miei confronti).
MC - Cosa vuoi che arrivi ai lettori che lo leggano e perché?
DR – Poiché, per chi non lo sapesse, le mie poesie raccontano di fatti e personaggi storici, mi piacerebbe che esse fossero capaci di trasmettere ai lettori quella curiosità con cui studiare e approfondire, in modo da permettere la formazione di un pensiero critico grazie al quale essere capaci di motivare con serenità il proprio consenso o disaccordo con il prossimo.
MC – Non lo sapevo, come mai questa predilezione?
DR – Ci sono due ordini di motivi: perché viviamo in una società in cui due persone che non hanno lo stesso pensiero non riescono ad essere amici; e perché con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione oggi ci sono una cattiva informazione e una ignoranza che non sono più giustificabili. (mi sa che hai ragione)
MC – Vuoi regalarci una poesia?
DR – Molto volentieri. Non è semplice, tra tutte, scegliere una sola poesia, è un po’ come preferire un figlio ad un altro. Ad ogni modo voglio donarvi la seguente:
E il mare è nero, e fa un unico pezzo con la notte - dedicata a Vincenzo Restivo
Sono figlia dell’amianto,
di cose nascoste, strette tra labbra senza profezie,
che fanno del nostro alveare un mare grigio,
noi rinchiusi nel suo ventre
come api raccolte in un cerchio forato sul muro
da cui ascoltare la vita quando passa,
un rossetto obliquo ai tacchi
come quei sogni che ci premono dentro
prima di fiorire come stelle comete che si spogliano in delfini liquidi d’amore
e ci lasciano prigioniere,
ognuna nuda nel suo guscio
ad accarezzare il proprio riflesso nel domani.
Sono figlia dell’amianto,
di nomi che crocifiggiamo a un’ombra
e il tramonto trasforma in lingue che bruciano come corpi
mentre offriamo alla Madonna, giù umida d’azzurro,
la nostra parte più debole
nell’urgenza di una speranza per sopravvivere alla monotonia di un miracolo in attesa,
è come polline di tarassaco
prima che l’ultimo gesto lo riveli
nel segno della croce
la cui eco, morsa da scialli in processione, sa di abbandono,
della solitudine delle cicale
e della malattia di una pioggia che non è.
Sono figlia dell’amianto
che in un respiro nero d’uomo definisce la sua carne
è carne di mare grigio,
di lacrime che la penetrano da bocche mai sazie,
di giorni nel dissolversi come la giovinezza
mentre le alghe attenuano il dolore.
MC - Bella. Grazie. Cosa ti ha ispirato a scriverla e quando?
DR – Grazie. La poesia che ho condiviso è stata ispirata dal libro Maregrigio di Vincenzo Restivo – un giovane autore che avevo scoperto con il romanzo precedente, e con cui nel tempo siamo diventati amici. Mi capita spesso questa cosa – di farmi ispirare da libri e film e canzoni per i miei versi. Infatti anche D come Davide – Storie di plurali al singolare raccoglie poesie che potremmo definire delle recensioni in poesia.
MC – La copertina del tuo libro è particolare, come mai questa scelta?
DR – Devo riconoscere che amo le copertine dei libri e sono sempre più convinto che si tratti del vestito con cui presentiamo i nostri libri (anche io la penso così), esattamente come i cantanti vestono le loro canzoni creando quello che ritengono essere il look più appropriato. Per quanto riguarda specificamente la copertina di D come Davide – Storie di plurali al singolare ho collaborato con un artista nonché amico brasiliano, con cui ci siamo conosciuti anni fa su Instagram e di cui sono fan, le cui opere sono presenti anche all’interno del libro. (fargli i miei complimenti)
MC – Ci sono molte altre cose di cui parlare, se ti va di fare un’altra intervista per farti conoscere meglio o per parlare di qualcosa di particolare ... non hai che la scelta tra le mie rubriche.
DR – Molto volentieri. Mi piacerebbe molto confrontarmi sul tema della solitudine apparente e su quello della funzione sociale ed educativa dell’arte. Due temi che, a mio avviso, meriterebbero un approfondimento. (Bene J )
MC - Se vuoi aggiungere qualcosa...
Dr – Voglio aggiungere che è stato un piacere, per me. E che ti ringrazio nuovamente per l’ospitalità.
MC – il piacere è stato mio, mi fa sempre piacere fare nuove conoscenze.
Alla prossima.
MC
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