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CAPITOLO 11
Distrazioni
«Posso fare una doccia?», le chiese alzandosi dal letto.
«Certo, prima porta a sinistra, gli asciugamani sono nello sportello in basso», rispose tirandosi le coperte fin sotto al mento.
Attese di sentire l’acqua scrosciare per indagare sul motivo per cui si era lasciata abbordare al bancone del bar: forse per il modo gentile con cui si era approcciato, per la battuta pronta che l’aveva fatta ridere, per il sorriso sornione con cui l’aveva convinta… Fatto sta che aveva già fatto in tempo a pentirsene e lo voleva fuori di casa prima possibile.
Si sarebbe potuta portare a letto tutti gli avventori del bar e non avrebbe fatto differenza: nessuno sarebbe mai stato capace di colmare il cratere causato dalla sua assenza, nessuno!
“Accidenti a te! Mi hai distrutto la vita!”. Nonostante tutte le maledizioni accumulate, il pensiero non si era discostato di un millimetro, era rimasto fisso al costo della sua rinuncia, a lui che l’aveva definita come un errore che può anche capitare, ma a cui va posto rimedio quanto prima. “Un errore, uno sbaglio, un incidente. Questo sei stata per lui, accettalo e smettila di piangerti addosso. E secondo te il fatto di saperlo mi rende immune dalla rabbia? Rabbia o dolore?! E cosa cambia? Cambia, se presuppone un sentimento diverso… Ok adesso smettila e sparisci!”.
Non l’avevano devastata in tale modo gli anni bui del matrimonio, quando il disinteresse di suo marito era diventato palese, evidenziando una distrazione che poteva trovare origine in una sola spiegazione. Non si era lasciata abbattere dalle storie stupide e inutili con cui si era intrattenuta in seguito, relazioni allacciate al solo scopo di sopravvivere alla solitudine.
Solo una persona era stata capace di crearle un danno irreparabile.
“Che tu sia maledetto in eterno: mi hai fottuto l’anima!”.
CAPITOLO 12
Ritorno inatteso
«È libera?».
Si era girata di scatto riconoscendone il profumo ancora prima della voce.
«Intendevo la sedia, è libera?», ripeté sorridendo.
Rimase inebetita a fissarlo con la bocca aperta, non era cambiato di una virgola, forse leggermente più magro e con la carnagione più pallida, ma per il resto era identico a come si ripresentava puntualmente nei suoi sogni.
Neanche nei suoi pensieri più audaci avrebbe mai immaginato di ritrovarselo di fronte; si era convinta della fine della loro breve, intensa e tormentata storia, prevedendo un lungo periodo di “elaborazione del lutto” alla fine del quale si sarebbe arresa all’evidenza: era finita.
Come avrebbe mai potuto intuire che una manciata di mesi prima una semplice telefonata avrebbe cambiato i termini della faccenda? Suor Palmira lo aveva chiamato per sapere come se la passasse e nel sentirlo rispondere a monosillabi era sbottata «Adesso basta Ettore!», lo minacciò severamente.
«Suor Palmira, che le prende?», era rimasto esterrefatto dal tono e dall’esternazione fuori da ogni logica.
«So tutto», affermò con voce ferma e pacata.
Comprese immediatamente a cosa si stesse riferendo, «Oddio!».
«Già, ti conviene invocarlo per aiutarti a fare chiarezza in tutta questa ingarbugliata vicenda».
Non sapeva proprio cosa rispondere, «Suor Palmira…».
«E smettila di ripeterlo, lo so come mi chiamo. Allora raccontami la storia dal tuo punto di vista», non ammetteva repliche.
«Non credo sia il caso», si sentiva al culmine della vergogna, era certo di essere arrossito fino alla radice dei capelli.
Si ammorbidì e cercò la via del convincimento, «Ettore, questa è forse l’ultima opportunità che ti viene offerta, vuoi coglierla o trascorrere tutto il resto della tua vita rimpiangendola?».
Si arrese con un sospiro, «Cosa vuole sapere?».
«La ami?».
«Ogni giorno di più», una semplice constatazione.
«Ti avevo giudicato male, credevo fossi intelligente», al silenzio dall’altra parte della linea rispose irritata, «Si può sapere per quale insulso motivo te la sei lasciata scappare allora?».
Si mise sulla difensiva, «Io non c’entro, ha fatto tutto lei. Mi ha detto chiaramente che non contavo nulla e…».
Lo redarguì esasperata, «Sei proprio uno stupido, possibile che non hai capito che te lo ha detto perché hai iniziato a parlarle di errori, di incidenti, di quel vecchio bacucco di Don Severino che cercava di redimerti? Che ti occorre per comprendere quello che non ti ha detto?».
«Non credo di aver capito», il cervello era in completa confusione e gli parve ancora una volta di essere tornato bambino, quando veniva sgridato per qualche marachella e non sapeva come cavarsi d’impiccio.
«Ma va’?! Genio, ti ama anche lei. E se ti spicci magari riesci anche a rimediare al disastro che hai combinato».
Si era fatto ripetere tutto due volte, incredulo di quanto stava apprendendo e incerto sulla stima del danno causato.
Alla fine dell’ennesimo resoconto si era arreso all’evidenza di essersi comportato in maniera stupida e avventata. Chiuse la telefonata promettendo a Suor Palmira che avrebbe sistemato tutto e che questa volta avrebbe fatto le cose per bene.
Nel giro di un paio d’ore aveva avvisato Don Severino telefonicamente e il suo responsabile a Torino di persona. A entrambi riportò la sua versione dei fatti e la decisione presa apparve così risoluta da non lasciare spazio a ulteriori tentativi. In attesa delle pratiche necessarie per “spogliarsi” ottenne la promessa di un aiuto per trovare lavoro in una biblioteca, in modo che le conoscenze acquisite non andassero perse e lui accettò di fornire consulenze quando si fossero rese necessarie.
Impiegò un paio di mesi per ottenere il permesso per ritornare nella sua città, e attendere che si liberasse un posto.
Era certo dell’ingerenza di Don Severino nell’ottenimento del lavoro, aveva di sicuro smosso mari e monti per individuare le ruote giuste da ungere per farlo assumere. In contrapposizione al proprio nome, il vecchio sacerdote si rese conto della forza dei sentimenti che spingevano il suo pupillo, il quale non avrebbe mai rinunciato alla sua carriera ecclesiastica per un’infatuazione passeggera, e una volta verificata la determinazione di Ettore, non poté far altro che dargli la sua benedizione e aiutarlo per quanto consentito.
Non gli restò altro che aspettare e trascorrere il tempo che lo separava dal ritorno da lei come un leone in gabbia, avrebbe preso il primo treno, autobus, se la sarebbe fatta anche a piedi. Ma le condizioni erano state chiare e Don Severino era stato irremovibile: avrebbe dovuto pazientare.
E adesso finalmente era al suo cospetto, incerto sul proprio avvenire e bisognoso di rassicurazioni dall’unica persona al mondo che stringeva nelle mani le redini del proprio futuro.
«Forse aspetta qualcuno e la sto importunando?!», chiese con una punta di preoccupazione, Suor Palmira era stata prodiga di informazioni quando lui l’aveva contattata anticipandole il suo ritorno, ma non aveva accennato a nessun uomo che fosse entrato a far parte stabilmente nella sua vita. E se glielo avesse tenuto nascosto per non ferirlo? Se lei nel frattempo si fosse innamorata di un altro? Se non fosse stata più disponibile nei suoi confronti? Non sarebbe stato capace di far fronte a tali evenienze.
Fece un segno di diniego con la testa.
Esalò il respiro trattenuto e prese la sedia dalla spalliera scostandola dal tavolino, «Allora potrei propormi di farle compagnia io», allungò la mano verso di lei, «Ma prima mi sembrerebbe educato presentarmi, cosa ne dice? Io sono Ettore».
Gli strinse la mano, «Ludovica», riuscì a rispondere in un sussurro. Era incantata dal suo sguardo, e ammaliata dalla sua figura, il jeans stretto si modellava perfettamente sulle gambe e la camicia aderiva al petto, con il colletto sbottonato che lasciava intravvedere la base del collo. Riusciva ad essere elegante anche con dei vestiti sportivi, o forse era la mancanza della tonaca che gli donava particolarmente?
«Molto lieto di conoscerla Ludovica», affermò prendendo posto. «Lei di cosa si occupa? Io sono stato appena assunto presso la Biblioteca in fondo alla strada. I libri sono una delle mie passioni».
«Biblioteca?!», ripeté incredula.
«Già, non so se ha presente, è quel luogo in cui si custodiscono tanti libri… e, pensi un po’, si danno anche in prestito… se non l’ha mai visitata sarò lieto di mostrargliela».
Lo sguardo stralunato la diceva lunga sulla difficoltà con cui stava mettendo insieme le informazioni.
«Sono da poco in questa bella città, forse potrebbe darmi indicazioni su cosa visitare», le prese la mano nella sua e se la portò alla bocca.
A quel tocco le sensazioni che credeva di aver finalmente nascosto in qualche segreta del suo cuore, strariparono, e un solo desiderio si fece strada, «Casa mia!», rispose d’impeto guardandolo negli occhi e aspettando che si avvicinasse per riprendere possesso di lui e delle sue labbra.
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