mercoledì 12 ottobre 2022

RETAGGI CULTURALI, RITI DI PASSAGGIO E PRATICHE DI MODIFICAZIONE CORPOREA


 

RETAGGI CULTURALI, RITI DI PASSAGGIO E PRATICHE DI MODIFICAZIONE CORPOREA

 

Ciao a tutti,

in questo articolo vi parlerò di alcune pratiche di modificazione corporea che in Cina, fino a buona parte del secolo scorso, furono utilizzate per ragioni apparentemente estetiche.

Nelle varie epoche e in zone diverse del mondo queste pratiche sono sempre esistite. Anche da noi in Occidente, nel Diciannovesimo Secolo e, in particolare, nel periodo della Belle Èpoque, le donne usavano corsetti strettissimi per ottenere l’effetto “vita da vespa”. I busti appiattivano il ventre, spingevano il seno in avanti e il bacino indietro con gravi ripercussioni sulla spina dorsale. La donna dell’epoca inizialmente indossò il corsetto per una questione estetica dettata dalla moda del momento, e in seguito fu costretta a portarlo sempre per mantenere equilibrio e stabilità.

In Thailandia tutt’oggi le bambine ritenute speciali in base all’ora in cui nascono devono portare pesanti anelli di ottone intorno al collo. Iniziano a cinque anni e, man mano crescono, aggiungono altri anelli che deformano la struttura cervicale e le spalle creando l’effetto illusorio del collo slanciato sinonimo di bellezza. Per questo sono chiamate “donne-giraffa”. Le ragazzine sono obbligate a portare gli anelli tutta la vita; se dovessero toglierli, il collo si spezzerebbe procurando la morte. È la tradizione ancestrale di una tribù che ancora oggi è legata a usanze millenarie e che nel tempo purtroppo è diventata un’attrazione turistica.

 

 

Donne-giraffa: foto di Anna Frascarolo

 

 

In Cina le donne furono vittime dell’antica e feroce usanza della fasciatura dei piedi che, per intere dinastie, piegò le ragazze rendendole ubbidienti e sottomesse a un sistema patriarcale. I “gigli dorati” lunghi otto centimetri erano il risultato estetico delle atroci torture inflitte a bambine di tre o quattro anni che avevano piedi fratturati e in putrefazione avvolti da bende e da scarpine di seta che praticamente non toglievano mai. Alcune morivano per setticemia. I piedini portavano vantaggi nella ricerca di un buon partito e garantivano un certo status sociale, per questo i genitori erano spietati con le figlie. Sottoponendole al supplizio avrebbero assicurato loro e alla propria famiglia benessere economico e prestigio.

Una donna con piedi grandi e al naturale era considerata selvaggia, ribelle e poco attraente. Una moglie con gigli dorati invece era dolce, remissiva, servizievole, e accontentava ogni richiesta del marito, comprese le esigenze sessuali più bizzarre. La tortura fu abolita nei primi decenni del secolo scorso, anche se molte famiglie perpetuarono illegalmente la pratica. Molti erano restii ad abbandonare l’usanza.  Nel tempo il sacrificio di queste donne vissute in schiavitù, nel silenzio e nel dolore ha permesso alle nuove generazioni di donne cinesi di riscattarsi socialmente e di diventare sempre più indipendenti.

 

 

                                                          Scarpine lunghe otto centimetri

 

 

Ma i gigli dorati non furono l’unica pratica di modificazione corporea adottata dai cinesi in passato. 

L'usanza del tatuaggio per esempio era ampiamente diffusa e venne tramandata da numerose tribù delle minoranze etniche. Il popolo Dai della zona tropicale di Banna è buddista, e molti ragazzi, all’età di sette o otto anni, entrano in monastero come keyong o novizi. Poi passano al grado di panan o monachelli e a diciott’anni decidono se prendere definitivamente i voti o tornare a vita secolare. Il rito del tatuaggio inizia proprio da adolescenti, è un rituale di passaggio indispensabile.  I tatuaggi sono strettamente legati a credenze e a leggende antiche che risalgono addirittura al Periodo Neolitico. I ragazzi si tatuano tutto il corpo con motivi di totem sacri che li proteggono dalle forze oscure e li rendono fieri, coraggiosi e rispettabili. Sotto certi aspetti è un vero e proprio culto. Tra i Dai si dice “se non hai i tatuaggi vali meno di una rana”. I motivi più comuni sono gli animali: pesci, insetti, serpenti, elefanti e il mitologico drago, oppure i Testi Sacri del Buddhismo. Sono i segni distintivi della serietà e della credibilità di un uomo cresciuto ed educato in un tempio e che, una volta uscito, troverà facilmente un buon lavoro e una moglie.

 

 

Foto di Baidu

 

 

Nel secolo scorso, oltre ai tatuaggi, una pratica molto comune tra gli uomini era il pearling, ovvero l’inserimento sottocutaneo di piccoli oggetti rotondi. In un mio romanzo descrivo un personaggio particolare con queste caratteristiche: “l’uomo-ghepardo, un funzionario imperiale con il corpo interamente coperto da tatuaggi e con inserite sotto la pelle del torace e delle braccia tante monetine d’oro. Sul capo rasato spiccava un unico ciuffo di capelli ramati, tinti con argilla ed erbe selvatiche. Tutti i giovani della Contea lo prendevano a esempio aspirando a ricoprire una carica altrettanto importante.”

  
Nei secoli il tatuaggio non ha avuto solo un significato culturale e simbolico di appartenenza a un clan o a un gruppo ma è stato anche il riflesso di eventi storici e politici importanti che hanno profondamente segnato alcune società. In diverse tribù il rito denotava paura o soggezione nei confronti di animali feroci o di mostri e demoni della mitologia locale. Pertanto il tatuaggio diventava una sorta di esorcismo o di amuleto contro i pericoli.

Nel mio ultimo romanzo intitolato “Il Circolo delle Donne Farfalla- Mugao e Bhaktu” racconto la storia del popolo cinese Dulong, chiamato anche Derung e di quattro donne sopravvissute e considerate “i fossili viventi della gorgia del Nujiang”. La gorgia è un luogo selvaggio e inospitale situato nella parte nord-occidentale dello Yunnan, tra Tibet e Birmania, definito dall’Unesco la fascia terrestre più ricca di biodiversità. Le donne di questa etnia per secoli hanno subìto Bhaktu, un rituale barbaro che obbligava le dodicenni a farsi deturpare il viso con il motivo “Mugao”: un totem misterioso che ricordava una farfalla. A detta degli indigeni quel totem garantiva l’immortalità dell’anima, era una sorta di passaporto per il Paradiso, oltre a essere un segno di rispetto e di sottomissione al proprio clan. “Senza Mugao non avrai l’aspetto di una donna e nessuno ti vorrà sposare!” dicevano i padri e i capitribù alle ragazzine per piegarle alla loro volontà.

Seguiva la tortura, che provocava ferite sanguinanti, gonfiore, febbre, infezioni, setticemie e gravi ripercussioni fisiche e psicologiche.  

 

 

Il tatuaggio facciale Mugao: foto di Ouyang Bin

 

 

Ma un’interpretazione mistica del tatuaggio rendeva più accettabili le conseguenze del rituale barbaro: l’illusione che dopo la morte l’anima sarebbe diventata una bellissima varietà di Baguiyi~ farfalla diafana, variopinta e celeste ~ alleviava il dolore provato e, nel tempo, donava sollievo.    

Intorno alle donne-farfalla c’è un mondo da scoprire e aleggia sempre una cortina di mistero. Solo alla fine del libro si scoprirà la terribile verità: quali sono le vere motivazioni che hanno spinto i padri a praticare Bhaktu sul viso delle figlie. Perciò vi invito a leggere il romanzo per conoscere questo affascinante popolo, i suoi miti e credenze, i rituali animisti e la storia travagliata.

Come dichiara Mila, voce narrante del libro: “Ogni leggenda ha sempre un fondo di verità” ma, prima di scoprire la dura realtà dei fatti, è bello concedersi un’evasione nella fantasia e credere che la poesia possa renderci migliore la vita.

 

 

FIORI PICCO  

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento