Ciao,
oggi siamo in compagnia di Eleonora
che ci parlerà del suo libro Rumore
MC – Ti va di presentarti e di raccontarci qualcosa di te?
Eleonora – Che dire… Mi chiamo Eleonora, ho 29 anni e scrivo poesie. Non chiamatemi poetessa perché, per una semplice presa di posizione, preferisco farmi chiamare poeta al maschile. Nella vita insegno al liceo, ma sono molto, molto altro della semplice burocrate anonima con cui si designano oggi i docenti: vengo a scuola con la maglietta degli Slipknot, ascolto molta musica (prevalentemente Metal, genere di cui sono innamorata), sono un’amante di letteratura, arte e cinema e, ultimo ma non meno importante, pratico Brasilian Jiu Jitsu e Mixed Martial Arts. Sono aggressiva, oscura, ma al tempo stesso tendo alla luce, sono una contraddizione e amo esserlo.
MC – Che tipo si sport sono Brasilian Jiu Jitsu e Mixed Martial Arts e come mai li pratichi?
E – Tutto è iniziato, come sempre, da una forma di rabbia repressa, per poi capire che le arti marziali sono un modo di esprimere se stessi, come diceva Bruce Lee. Il Brasilian Jiu Jitsu è una forma di arte marziale che usa la lotta a terra con lo scopo di finalizzare l’avversario ed è importante perché si basa sul principio dell’utilizzare la forza dell’avversario a proprio vantaggio che può servire anche nella vita. Immagina che venga da te una persona arrabbiata; secondo il principio di base del Brasilian Jiu Jitsu quella persona non dovrebbe farti paura, ma puoi usare la forza che sta dimostrando in quel momento a tuo vantaggio. Le MMA (acronimo di Mixed Martial Arts) sono invece uno sport da combattimento che utilizza tecniche di stricking (calci e pugni) e tecniche proprie del Brasilian Jiu Jitsu (proiezioni e lotta a terra, pugni compresi).
Se nella MMA c’è lo stricking sia a terra sia in piedi, nel Brasilian Jiu Jitsu non c’è, ma le MMA sono un ottimo modo per misurarsi con la propria forza e con la propria rabbia repressa, non tanto per sfogarla ma per conoscerla: nonostante non ci sia una filosofia particolare alla base, le MMA non sono solo violenza brutale e basta, ma è stata una disciplina che mi ha aiutata tanto in un momento molto brutto della mia vita.
MC – Perché preferisci farti chiamare poeta e non poetessa?
E - Vedi, è come se il sostantivo “poetessa” mi qualificasse dentro una determinata categoria, cioè quella della poesia femminile. Purtroppo, ancora oggi, seppur con qualche miglioramento, si continua a parlare di “poesie femminile”, come se ci fosse una netta distinzione tra ciò che scrivono i maschi e quello che scrivono le femmine. Anzi, ti dirò di più: tutta la storia della letteratura è praticamente maschile, gli autori che studiamo a scuola sono maschi e, di solito, se sei donna e vuoi entrare nel cosiddetto canone devi essere Alda Merini con le sue problematiche. Quello che in genere passa riguardo alla poesia scritta da donne è che è poesia diversa da quella degli uomini e che si stratta di artiste con serissimi problemi (per esempio Sylvia Plath o la stessa Alda Merini). Personalmente, io non faccio “poesia femminile”, io faccio poesia e non voglio far parte di nessuna categoria altamente discriminante: potrò avere tutti i disagi psichici di questo mondo, ma non voglio né essere un caso umano né un modo per promuovere ancora di più questi stereotipi. (giusta osservazione, non ci avevo mai pensato)
MC - Cosa ti piace della musica metal e quale musicista è al top della tua classifica?
E – Della musica Metal mi piace molto la complessità e il trattare alcune tematiche in modo non convenzionale: per esempio, al top della mia classifica c’è la band Deathcore statunitense Whitechapel, che ha composto una canzone nel 2019, “When a demon defiles a whitch”, che parla del rapporto tra il demonio e una strega. Quella canzone, seppur apparentemente tratti di una tematica horror, ha una forte introspezione psicologica perché descrive il rapporto tra questa strega e il diavolo come una “relazione tossica” in cui l’io lirico si chiede come ha fatto il mondo a dividerlo/a da chi amava e promette una vendetta. Altre due band che sono al mio top sono i Periphery, gruppo Progressive Metal americano, che ha composto una canzone fantastica che si chiama “Scarlet”, i Veil of Maya e, ultimamente, mi sto impallando con i Varials, gruppo metal statunitense, e Marilyn Manson.
MC – Com’è insegnare, oggi, nei licei?
E – Bellissima domanda! Quando si parla di scuola, si va sempre dietro a una serie di luoghi comuni veicolati dai media: per la serie, “i ragazzi di oggi non fanno nulla”, “i genitori di oggi fanno schifo”, “gli insegnanti non sanno fare il loro lavoro”, “non ci sono più le mezze stagioni” e altre cose da boomer. In realtà, l’adolescenza ha sempre avuto in sé una forte complessità, è sempre stato così, solo che oggi ci si è accorti che gli adolescenti sono complessi, proprio quando hanno esibito la loro complessità. A tal proposito, cito un manga che si chiama Soil, l’autore è Atsushi Kaneko e tratta anche dell’ipocrisia che c’è dietro il rapporto tra adulti e adolescenti. Penso che, quando si parla con gli adolescenti, si debba parlare di persone, non di stereotipi.
MC – Vero, ma devi riconoscere che dei problemi ci sono e sembra... ripeto sembra, che non ci sia molta volontà da tutte le parti a trovare una soluzione. Almeno è la sensazione che ho io.
E – Diciamo che si stanno creando troppe incomprensioni tra i ragazzi e il mondo adulto, che possono sfociare anche nella violenza. Poi, un ragazzo o una ragazza non nasce maleducato/a a prescindere, ma è sempre il frutto dell’educazione che ha ricevuto. Oggi si delega alla scuola tanto, forse anche troppo: ho ricevuto personalmente molti genitori disperati perché non riuscivano più a dialogare con i propri figli; non sono genitore, ma cerco sempre di dare qualche consiglio, anche piccolo.
MC – I tuoi ragazzi sanno che scrivi?
E – Sì, lo sanno. Personalmente, dopo un anno di naturale imbarazzo, ho iniziato a condividere i miei testi con i ragazzi e le ragazze e, talvolta, ho ottenuto risultati veramente sorprendenti! Per esempio, l’anno scorso ho dovuto affrontare il fatidico anno di prova per entrare di ruolo e ho deciso di proporre a una classe terza un’attività didattica sulla poesia contemporanea. Risultato: un racconto/romanzo sulla figura di Cesare Pavese scritto da un ragazzo e un bellissimo confronto tra la poesia di Maria Grazia Calandrone e le canzoni di Hozier fatto da parte di un gruppo di ragazzi. Sfatiamo subito un mito: non è vero che i ragazzi e le ragazze preferiscono lo smartphone alla poesia, la poesia è soprattutto per loro.
MC – qualche mese fa una tua collega ha voluto parlare della poesia nella mia rubrica... che ne pensi o che ne pensano i tuoi studenti? https://mariacristinabuoso.blogspot.com/2024/05/aperichiacchierata-con-roberta-placida.html
E - Ho letto quanto ha detto la mia collega e penso che i miei studenti apprezzerebbero molto 😊
In particolare per quanto riguarda l’educazione all’affettività e alla sessualità, che è una cosa che i ragazzi e le ragazze non fanno altro che chiederci, ma su cui, purtroppo, nessuno dei miei colleghi può dare ancora una risposta.
MC – LO sai vero.... che dovrai per forza fare Apericchiacchierata? Troppe cose interessanti di cui parlare... e soprattutto... come riesci a far conciliare tutti questi tuoi interessi? Tranquilla non ti faccio tutte le domande che vorrei per non portare via spazio al il tuo libro, ma dovremmo risentirci, magari con la Tisana dove di tempo per chiacchierare ne avremmo, sempre se ti va J
E – Certo che mi va! Anzi, ne sarei onorata. Come ho detto prima, l’essere umano è fortemente “contraddittorio”, Nietzsche e Freud ce lo possono confermare, e in quanto tale, riesco a conciliare interessi molto diversi tra loro. Ritornando sui miti da sfatare, non è assolutamente vero che chi scrive poesia è completamente avulso dalla realtà, anzi, la poesia dovrebbe connetterti meglio alla realtà che vivi: pensiamo a Giacomo Leopardi e alla sua riflessione poetica sulla natura, che con la Pandemia è ritornata attualissima. Per me, la letteratura è sia un’arma che può far male sia una carezza che dà consolazione, proprio come le parole e la lingua in generale. Quindi perché dovremmo vivere fuori dalla realtà? Posso solo dire che chi è monotematico nei suoi interessi è terribilmente noioso, tutto qui. (Sottoscrivo tutto)
MC – Parlarci dell’antica arte dell’Immaginazione?
E – Potrei fare un discorso lunghissimo, ma mi limiterò a dire che l’immaginazione è antica e nuova al tempo stesso e che ci permette di vivere un miliardo e più di vite. Prima ho parlato della connessione tra realtà e poesia, ma ho dimenticato di dire che il poeta scrive o parla della realtà utilizzando un linguaggio che è altro rispetto a quello comune: un singolo verso contiene la razionalità della realtà e l’irrazionalità del sogno, anche a livello linguistico.
MC – So che leggi saggi che non “non legge nessuno” , ti va di parlarcene?
E - Leggo molta filosofia fin dal liceo, spazio da Platone ad Heidegger, con una certa predilezione per Nietzsche e Jung. Per molto tempo ho inserito nella mia poesia molto, anche troppa, filosofia. Ma la filosofia, tendenzialmente, vuole convincerti di qualcosa; la poesia non ha lo scopo di persuadere, solo quello di far rivivere tutti e cinque i sensi e di guidarti non alla verità, ma a una diversa visione del mondo, se non a un mondo completamente altro da quello esperibile. Oggi ci sono molti “spacciatori di verità” (troppi), come li chiamo io, coloro che vendono la propria verità e il proprio modo di vedere le cose a gente che non lo ha come se si trattasse di una droga. Potrei dire che la società di oggi vede la verità come una sostanza stupefacente da vendere alla massa, ne abbiamo la prova tutti i giorni; la poesia non vuole vendere verità preconfezionate perché non ce ne sono, la realtà è in continuo mutamento, come insegna Sun Tzu. A questo serve leggere saggi che “nessuno legge”.
MC – Come mai un libro di poesie e come mai hai scelto questo titolo.
E - Scrivo poesia da quando avevo diciotto anni, proprio per parlare del “rumore nel mondo”. Il mondo è tanto rumoroso e il silenzio ci fa male, tanto che non riusciamo più a distinguere tra il silenzio dell’accusa e il silenzio della natura, di quella foresta che cresce e respira con noi. Scrivo poesia sia rumorosa sia silenziosa, parlo sia delle brutture del mondo sia della bellezza perché in questo mondo rumoroso c’è una bellezza nascosta e silenziosa che l’arte ci aiuta a carpire. Ma c’è anche la bellezza nella bruttezza.
MC – Per chi non ha mai letto le tue
poesie, ti va di parlarcene?
E – Sarò molto sintetica, la mia poesia non vuole avere filtri, può essere un’arma per ferire ma anche un balsamo per l’anima. Molto spesso la mia scrittura è stata definita “triste e contorta”, sono contenta di questa definizione perché le mie poesie nascono da una ferita piena di luce, come dico sempre. Senza quella ferita non ci sarebbe poesia e tutta la mia scrittura esprime l’idea di un mondo, di una soggettività e di un’umanità ferita, ma che è piena di luce. Per questo amo parlare del “lato oscuro della vita”, trovo un’energia e una forza estetica nei true crime, nella musica Metal, nell’Horror e in tutto ciò che è definito comunemente come oscuro. La stessa forza la trovo nei volti, nelle storie e nelle soggettività dei miei studenti e delle mie studentesse. L’indifferenza la lascio ad altri poeti.
MC - Se vuoi condividere con noi una tua poesie lo puoi fare.
E – Certo, eccone una abbastanza forte!
“Piove, non lo senti?
Piove sui tuoi vestimenti
leggieri piove sui soldati
a Kiev, a Mariupol
piove sul Mar Rosso
mentre lascia passare
Mosè dall’Egitto.
Piove su Agar Ismaele
Abramo e chi ne ha
più ne metta piove
sulla pace che t’illude,
oggi m’illude, frega.” (Grazie, mi è piaciuta)
MC – Perché hai voluto illustrare le tue poesie?
E – Ho sempre creduto che la poesia fosse arte e che comunicasse con tutte le arti, per questo ho deciso di far incontrare “l’arte con l’arte”, cioè di illustrare le mie poesie e ringrazio Didì Gallese per il lavoro e per la splendida collaborazione, è stata davvero preziosa!
MC – perché hai deciso di dividere il libro in tre parti?
E – Ho voluto immaginare un dialogo tra diverse parti: nella prima c’è un dialogo tra me e una mia ipotetica studentessa; la seconda è quasi un pezzo di teatro o uno psicodramma, in cui immagino di parlare con mia madre e con un mio ipotetico figlio serial killer. La terza è un dialogo tra me e me sulle cose che mi stanno più a cuore, soprattutto sulla poesia. Infatti, l’intero libro potrebbe rispondere alla domanda “Cos’è la poesia?” e anche “Perché abbiamo bisogno di scrivere poesia?” Al di là delle pizze dei poeti, ogni essere umano splende di una propria poesia, il problema sorge quando questa poesia viene meno e l’esistenza diventa una grigia via di mezzo.
MC – Cosa avresti voluto che ti chiedessi?
E – Lancio una domanda che per me è molto importante: “cosa ti spaventa di più in un poeta?” La risposta ti sorprenderà 😊
MC – E allora...... cosa ti spaventa di più in un poeta? Ma aggiungo o anche... e di un lettore?
E – La cosa che mi spaventa più in un poeta è l’indifferenza e il volersi vendere a tutti i costi: il poeta è sempre, in una certa misura, impegnato e la poesia “indifferente” che non parla di nulla se non delle masturbazioni mentali del poeta stesso è pericolosa. Mi spaventa molto, sia in un poeta sia in un lettore, la “medietà”, cioè l’essere una persona nella media. Chiedo un favore a qualsiasi persona che si definisce un uomo medio o una donna media: non leggete mai il mio libro, poiché non è per voi! Non lo dico per classismo ma perché l’uomo medio è stato ben definito da Pasolini e credo che quella definizione sia calzante e un uomo medio, per quanto possa scrivere meglio di me, non sarà mai un poeta o un lettore: semplicemente si limiterà a comporre frasi fatte, a esibire la propria pseudo – cultura in qualche cena con il capo, ma non capirà mai la poesia perché è lontana da lui/lei.
MC – Grazie per la bella chiacchierata, alla prossima... e se avete domande da fare... non siate timidi.
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