mercoledì 14 febbraio 2024

AperiChiacchierata con ... Roberta Placida - La poesia nella Scuola (1)

Ciao,

Questa sera saremo in compagnia di Roberta Placida che ci vuole parlare dell’importanza della poesia nella scuola.  


 

L’aperitivo presso lo Student Bar di Avezzano

 

 MC -  Allora prima di iniziare dimmi perché hai scelto questo posto e questo aperitivo.

Roberta – Avrei potuto scegliere un luogo in riva al mare, oppure il Caffè Greco a Roma, o un qualsiasi altro locale in un luogo da sogno, un bar con vista di Parigi dall’alto, per esempio, ma ho voluto prendere questo aperitivo allo Student Bar di Avezzano, luogo dell’anima, in cui ogni mattina mi incontro con i miei colleghi di lavoro per la “coccolazione”, neologismo da me coniato per indicare quel momento di piacere, di coccola, appunto, prima di andare a scuola. Un luogo, inoltre, dove volentieri prendo l’aperitivo con gli amici, un luogo intimo che sa di famiglia e di condivisione. Il mio aperitivo è lo Spritz: lo amo, perché è vivace, allegro e frizzante, proprio come, credo, sono io. (mi piace la tua scelta J )

MC – Come mai hai scelto questo argomento?

R – Sono insegnante di lettere e poetessa: vivo la poesia in duplice veste. La spiego, la analizzo, la “viviseziono” per i miei studenti, cercando di mettere in luce lo stile e la grandezza dell’autore e cercando di suscitare amore verso questa forma d’arte, e, nello stesso tempo, la scrivo, sperando di non dover mai spiegare una mia poesia, perché vorrei che in ognuno risuonasse secondo le vibrazioni del suo cuore. È per questo che ho voluto riflettere con te sul ruolo della poesia nella scuola, perché credo che, forse, bisogna restituirle il posto che merita, come arte capace di formare alle emozioni, all’uso consapevole del linguaggio, al valore creativo e ontologico della parola.

MC – Sono d’accordo con te.  E i tuoi studenti cosa pensano della prof. Poetessa?

R – Ho sempre avuto un buon rapporto con i miei studenti e loro si sono sempre lasciati coinvolgere durante le lezioni, ma ho notato che, da quando ho iniziato a scrivere e a pubblicare, mi guardano con occhi diversi, in un misto di stupore e di ammirazione e, se ho ben saputo leggere nei loro sguardi, anche di orgoglio. Sono venuti, ad esempio, alla presentazione del mio ultimo libro “nella gora il riflesso” – Daimon Edizioni-, mi hanno fatto foto e video e poi, salutandomi, mi hanno detto: «Siamo orgogliosi di lei, prof!». Quando i ragazzi del quinto mi hanno lasciato mi hanno ringraziato per aver insegnato loro ad amare la poesia e nella loro dedica mi hanno scritto: «La ritroveremo, prof, in ogni poesia che leggeremo». Questo mi conferma in quello che penso: non dobbiamo avere paura di leggere ai ragazzi, ai giovani, la poesia!

MC –   La poesia,  in questi anni,  è cambiata nel modo in cui viene insegnata?

R – Io so che ho cambiato io il mio modo di insegnarla. I libri, più o meno, la presentano tutti allo stesso modo: “prontuario” tecnico in cui si spiegano le figure retoriche, la composizione dei versi, la tipologia di rime; varie tematiche declinate attraverso la voce dei vari autori: poesie d’amore, di guerra, d’amicizia, di dolore; la verifica delle competenze acquisite. Tutto finalizzato alla valutazione, ma, secondo me, manca l’anima, lo spirito della poesia, quel sacro fuoco di cui, in qualche modo mi sento custode e vestale. Io utilizzo un approccio emotivo: cerco di far riflettere i ragazzi su sé stessi, sulle emozioni provate, sul messaggio nascosto. Solo in un secondo momento affronto il testo dal punto di vista tecnico e retorico per far capire come l’autore sia stato geniale – perché i nostri poeti sono, uso il presente perché non muoiono mai- dei geni nell’uso della parola. Raggiungo una duplice finalità: far amare la poesia e metterli in contatto con la propria emotività, con la parte più intima di sé. Noto con rammarico che i nostri ragazzi soffrono di analfabetismo emotivo: non sanno dare il nome a ciò che succede nel loro mondo interiore e non ne conoscono la ricchezza. La poesia può essere la cura e contribuire a salvare l’umanità dal baratro di bruttezza e di orrore in cui sembra sprofondare giorno per giorno.

MC -  secondo te, come mai oggi c’è questo “analfabetismo emotivo”?

R – Quanto tempo abbiamo? 😊Credo che le cause siano diverse: manca sempre di più il contatto umano. Se la tecnologia ha il grande merito di tenere vicino chi per motivi vari è costretto a stare lontano, nello stesso tempo allontana chi è vicino: si perdono così le sfumature, i colori dei sentimenti. Anche nella didattica assistiamo al trionfo della tecnologia, cosa di per sé non negativa, che spesso ci porta a prediligere lezioni interattive, con il supporto del digitale (con la DAD durante il COVID questo processo ha subito una bella accelerazione) e con la demonizzazione, spesso, della cosiddetta “lezione frontale”. L’uso di strumenti interattivi ha allontanato i ragazzi dal dialogo, dal processo attivo di apprendimento, da tutte quelle gradazioni di suono e visive che hanno a che fare con la manifestazione delle emozioni: io so che quando mi commuovo nel leggere una poesia e la mia commozione è visibile, i miei alunni si emozionano con me. Ripeto: la tecnologia non è “cattiva”, ma deve anch’essa essere un mezzo per trasmettere emozioni, non il fine ultimo della didattica. Inoltre, c’è quella che chiamo, ma non sono la sola, un’emergenza lessicale che porta ad una limitazione della capacità di pensare. Il pensiero si fonda sulla parola, sul saper dare il nome alle cose, sul saper argomentare ciò che si vuole dire. Senza parole, viene a mancare il veicolo di espressione, oltre al fatto che la creatività, l’immaginazione viene limitata. La parola è un atto creativo, non dobbiamo mai dimenticarlo. Ogni Dio crea con il suo logos, con la parola, appunto. Dico sempre ai miei ragazzi che se Dante avesse conosciuto allora le parole che conosciamo e usiamo oggi, avremmo sì e no avuto l’Inferno, ma di sicuro non avremmo mai respirato la sublimità del Paradiso. “L’analfabetismo emotivo”, va, secondo me, di pari passo con l’impoverimento del linguaggio: se non so dare il nome a ciò che provo, finirò per non “sentirlo” più.

MC – Gli studenti di oggi in cosa sono diversi da quelli di una o due generazioni fa?

R – Forse quelli di oggi sono molto più “social”, ma molto meno “socievoli”. Al contatto umano viene preferito quello virtuale. Le emozioni, i sentimenti passano attraverso un emoji; i rapporti si decidono con un messaggio su whatsapp: per questo è importante la poesia. Per ridare valore alla parola parlata, scritta e ascoltata, per creare mondi alternativi, per diffondere bellezza, tutta la bellezza, e ne è tanta, che l’animo umano può esprimere, anche osservando quella del creato.

MC –  Secondo te, che rapporto hanno oggi i ragazzi con  la poesia e quale genere è più apprezzata e letta da loro? Per esempio, io amavo gli ermetici e la poesia che si avvicinava a questo forma di scrittura.

R – All’inizio sembrano scettici, ne sono spaventati, non si sentono “portati” per la poesia, pensano che sia esclusiva di alcune persone privilegiate, ma, come dice sempre la mia editrice e sorella Alessandra Prospero, la poesia è la prima forma comunicativa. Addirittura, nei convivi c’erano poeti che con la loro arte raccontavano storie accompagnati dalla musica. Il sumero Gilgamesh, il grande Achille, il fortissimo Ettore, il pio Enea, sono tutti eroi le cui imprese sono state tramandate nei secoli attraverso la poesia: essa non è, quindi, per pochi! Tornando ai ragazzi, in un secondo momento restano affascinati e chiedono: «Prof, facciamo poesia?» e a quel punto io ho vinto tutto 😊 Tra i generi preferiti, sicuramente e soprattutto all’inizio, quella d’amore, ma poi iniziano ad amare Leopardi, Ungaretti, Pascoli, fino a quando leggono e scoprono da soli il poeta più in sintonia con le loro corde.

 

MC –  Ci sono  autori di canzoni che possono venire paragonati a poeti e perché?

R – Guarda, io nella mia didattica, faccio studiare molto i cantautori: per prima cosa perché la poesia nasce accompagnata dalla musica. I poeti antichi, infatti, erano i cantautori dell’epoca: basti pensare agli aedi, oppure, successivamente, ai trovatori;  un altro motivo è che la musica, comunque, è più vicina al loro mondo e quindi quando scoprono che i cantautori, anche quelli scelti da loro, usano metrica e figure retoriche, restano meravigliati e io sorrido di compiacimento. Poi, perché affrontano temi importanti che la musica fa passare in maniera leggera, ma non per questo meno profonda. Per esempio, quando affronto la poesia religiosa dell’inizio della nostra letteratura, faccio ascoltare e analizzo il concept album di Fabrizio De André “La buona novella”. Fabrizio, tra l’altro, è un cantautore che prende a piene mani dalla tradizione poetica. Comunque, la nostra musica ha diversi cantautori che possono essere utilizzati nella didattica. Per esempio, Guccini, Bennato, Graziani. (è vero, per nostra fortuna abbiamo una vasta scelta)

MC –Che dici... continuiamo a parlarne con altra  Apericchiacchiera?

R – Magari! È un piacere poter chiacchierare con te.

MC –  Anche per me J.  Prima di salutarci, vuoi aggiungere qualcosa?

R – Prima di tutto un grazie a te per l’ospitalità e poi un invito a tutti noi: facciamo più poesia per creare bellezza!

MC – Sono d’accordo J

Alla prossima J

MC

1 commento:

  1. Bellissime considerazioni . Cara Roberta complimenti vivissimi. Condivido ogni parola . Ferdinando di Orio

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