MC – Oggi parleremo con Livio Ciancarella del suo libro. Per prima cosa ti va di presentarti raccontandoci qualcosa di te?
Livio – Buon anno a tutti e complimenti a te per il tuo sito. Sono stato un militare di professione per quasi 40 anni, prima in fanteria e poi pilota di elicotteri. Ora in pensione ho cambiato decisamente vita e mi dedico alle api e alla scrittura (e un po’all’insegnamento).
MC – Grazie. Come mai hai scritto questo libro?
L – La storia recente dell’Afghanistan andava raccontata una buona volta da chi ci è stato, non da chi si erge stratega dell’ultima ora o chi ci ha dormito solo una notte in albergo. L’esperienza di tanti colleghi che hanno cercato di assolvere al meglio la missione, con comprensione e umanità, andava raccontata.
MC – Mi sembra giusto. I tuoi colleghi cosa ti hanno detto quando hanno saputo di questo libro?
L – Molti lo hanno saputo dal tam tam e tutti mi chiedevano come averlo. E’ stato bello, ma soprattutto mi hanno commosso quelli che erano stati con me laggiù. Ho avuto anche molte richieste da perfetti sconosciuti. Qualcuno era preoccupato per la censura, io no: il quadro complessivo che ne do è positivo per la Forza Armata.
MC – Posso farti qualche domanda sul tuo lavoro?
L – Bien sûr. Solo che dopo dovrò ucciderti (scherzo!)
MC - Attento... 007 potrebbe non essere d’accordo ;)
L – Queste tue amicizie altolocate potrebbero essere un problema…chiederò al KGB allora! ( ;) )
MC – Tornando seri... cosa vuol dire essere un militare operativo e per quanto tempo lo hai fatto?
L – Vuol dire non stare dietro una scrivania, ma andare sul campo a guidare i tuoi uomini e donne nel tentativo di assolvere una missione e salvaguardare le loro vite. Non sempre è fattibile, mai facile, sempre logorante. Ma devi condividere le loro difficoltà, solo così potrei capire bene la situazione e loro ti seguiranno anche in capo al mondo, mondo che devi parimenti comprendere senza pregiudizi.
MC – Prima di una missione come ci si prepara?
L – C’è una lunga fase di sei mesi prima dell’invio in zona durante la quale oltre ai compiti prettamente militari ci si prepara anche sulla cultura, storia, religione ed etnologia del luogo. Io ero responsabile di queste conferenze per lo staff. Non nego che ci ho messo del mio e che ho imparato a mia volta. Si cerca anche di preparare le famiglie al distacco e all’assenza prolungata di un congiunto. (Immagino come deve essere la lontananza)
MC - Ricordi come ti sei sentito la prima volta che ti sei trovato in una zona di guerra e cosa ti ha colpito?
L – In Kosovo nei primi anni 2000. Montando le mitragliatrici sul mio elicottero ho sentito tutta la gravità delle mie responsabilità, ma avevo anche visto cosa era stato fatto dai paramilitari serbi ai prigionieri kosovari e non è descrivibile (ma è una buona idea per un altro libro). (Allora lo aspetto J )
MC – Che ne dici se continuiamo a parlare di questo argomento in un Apericchiacchera così, qui, proseguiamo a conoscere meglio il tuo libro?
L – Mi inviti a nozze…e non posso che dire di sì. (Bene J )
MC – L’idea come ti è venuta e come mai hai deciso di trattare l’argomento in questo modo.
L – Appena tornavo da una missione, rivedevo gli appunti e volevo ardentemente pubblicare le nostre esperienze, di modo che i connazionali potessero capire meglio la realtà di guerra, c’era troppa differenza tra quanto visto e quanto letto. Poi in Patria a nessuno interessava dei postacci dove ci avevano spediti a cercare di portare un po’ di speranza, invece secondo me è fondamentale sapere com’è andata. L’editore ha suggerito che fosse meglio la forma del giallo, o military thriller, al quale ho adattato la narrazione senza grossi problemi. E dopo solo 11 anni eccoci qui.
MC – Secondo te, come dovrebbero raccontarla i giornalisti?
L – Da quello che ho visto sono frequenti due errori da parte loro: prepararsi frettolosamente secondo il (maledetto) sentito dire, cioè si basano su cliché, poi piegano la versione dei fatti alla linea editoriale della loro testata. Sul primo fatto cercavamo sempre di briefing-arli con dati freschi appena arrivavano in zona, poi qualcuno (pochi) si univa anche alle pattuglie e ne uscivano pezzi fantastici. Per il secondo problema non posso farci nulla se non richiamare la loro deontologia (tanto se vogliono vi licenziano lo stesso, sapete). Poi capita uno come Giordano, che dopo tutti gli sforzi per descrivergli la situazione, ha scritto una marea di c@zz@te nel suo “Il corpo umano” tirandoci addosso molta mrd@ che non meritavamo (questa la tagli, lo so). (Non sono questi i tagli che potrei fare ;), cerco sempre di rispettare il pensiero di ogni uno... e ogni uno si prende le sue responsabilità. Ma se il tuo pensiero corrisponde al vero, perché mai dovrei toglierlo?)
MC – Secondo te, cosa emerge da questo libro?
L – Ci sono diversi messaggi trasversali: i buoni e i cattivi non stanno tutti e solo da una parte, i luoghi nascondono le testimonianze delle imprese passate, le gesta antiche sono molto più simili a quelle attuali di quanto pensiamo, drammi antichi sono ciclicamente rivissuti, uomini di valore possono stimarsi anche al di là degli schieramenti, esseri abietti ci sono da entrambe le parti. Chi cerca un libro che celebri la narrativa ufficiale rimarrà deluso.
MC – Secondo te, la lettura di questo libro cosa dovrebbe lasciare al lettore?
L – Una visione dell’universo Afghanistan secondo chi ci è stato, ha studiato la millenaria cultura locale e cerca di testimoniarla a un Occidente ignorante che pure si è imbarcato in un avventura dalla quale siamo usciti con vergogna.
MC – In cosa l’Occidente è “ignorante”?
L – Prenditi una sedia, va’. Primo, la storia. Non sappiamo una cippa della storia di questi posti, eppure la cultura e lingua persiane stanno all’Asia centrale come la cultura latina all’Europa. Secondo, la religione. L’Islam è collante anche per la vita quotidiana: il concetto di laicità è solo nostro. Terzo, i clan. Il vero motore delle relazioni interetniche in quel paese è la struttura tribale. Ci guardavano con sospetto se usavamo un interprete tagiko invece che pashtun, ma anche se usavamo un pashtun ghilzai invece di uno della tribù karzai! Infine la droga, vera piaga che ha distrutto il paese peggio di 40 anni di guerra. Massud, indimenticato eroe nazionale, prima di concedere un’intervista chiedeva ai giornalisti di citare qualcosa di Ghazali o Jami o Ferdusi: al loro mutismo diceva “ecco, ora che sapete di non sapere, possiamo cominciare”. Un grande! (Cavolo... quante cose non sappiamo di sapere L )
MC – Vorresti aggiungere qualcosa?
L – Molti ex colleghi mi hanno chiesto il libro per leggerlo, c’è curiosità, ma anche la speranza che le proprie storie vengano raccontate. Lo dovevo a chi non c’è più e a chi ha ancora oggi gli incubi. Khuda Hafiz [vi guardi Dio, in persiano].
MC - Grazie per questa breve chiacchierata che ci ha permesso di conoscerti un po’ di più e anche ti capire meglio l’argomento del libro, anche se in piccola parte.
Alla prossima J
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