Ciao,
oggi siamo in compagnia di Vincenzo
che ci parlerà del suo libro
MC – Piacere di fare la tua conoscenza. Ti va di raccontarci qualcosa di te?
Vicenzo – Piacere mio e grazie dell’ospitalità (figurati, ci sono altre rubriche a cui puoi partecipare se ti va). Allora, sono nato nella provincia di Napoli, a Torre del Greco per la precisione, 46 anni fa. Ho fatto studi umanistici e, oltre a essere un avvocato specializzato in diritto e procedura penale e tuttora esercente, ho sempre coltivato interessi e passioni artistiche. Ho avuto nell’infanzia e nella prima adolescenza la passione per il teatro e la recitazione, verso i 18 anni ho iniziato a coltivare maggiormente quella per la musica, infatti ho iniziato a suonare il basso elettrico e successivamente anche altri strumenti, contrabbasso, chitarra e armonica a bocca. La passione per la letteratura e la scrittura mi accompagna da sempre, e così intorno ai 27 anni, poco prima di laurearmi, ho iniziato a scrivere racconti brevi, poi pubblicati in gran parte nel mio primo libro, “Le ore buie”. Successivamente ho pubblicato anche un romanzo, “Lame di tenebra”, e un saggio a quattro mani sulla letteratura e il genere weird, “Com’era weird la mia valle”, che raccoglie articoli originariamente scritti per il web da me e Fabio Lastrucci. A cavallo dell’inizio della pandemia ho iniziato a interessarmi a delle forme di scrittura orientate alla performance live, e dopo aver bazzicato il circuito del poetry slam sono approdato circa tre anni fa a una nuova vita artistica come stand up comedian.
MC – Mamma mia quante cose, mi sa che intervista tisana farebbe per e apericchiacchierata ti aspetta, perché ne hai di argomenti di cui parlare ;)
V – Ma molto volentieri! Il problema sarebbe solo di fermarmi una volta che inizio a raccontare! :D
MC – Perché dici “nella tua nuova vita” stand up comedian?
V – Più di una volta, nel corso della mia esistenza, il mio approccio a una nuova forma di espressione artistica mai in precedenza praticata ha coinciso con una mia necessità di reinventarmi non solo sul piano dell’urgenza creativa, ma anche esistenziale, spesso una vera e propria esigenza di “rinascere”. Ciò è tanto più vero in questo caso, perché è stata una forma di reazione a una serie di disagi (derivanti sia dalla traumatica esperienza del lockdown che da problemi personali che affrontavo in quel periodo) ed è nato tutto dall’esigenza di metabolizzarli e fare un percorso che si potrebbe definire di (auto)terapia artistica unendo diverse forme espressive: la scrittura creativa, la recitazione, la performance musicale.
MC – Ti andrebbe di farci un esempio di quello che dici?
V – nel mio format di show, che è poi diviso tra monologhi comici e momenti comico-musicali, porto il mio background di amante del genere horror, della musica blues e della cultura afroamericana, il mio vissuto di uomo di mezza età alle prese con la precarietà lavorativa, economica e affettiva, i cambiamenti nel corpo e nello spirito in conseguenza del tempo che passa e le esperienze vissute, con i conseguenti problemi di accettazione del sé. Inoltre, facendo parte di una generazione di mezzo tra il mondo del 20° secolo e l’era della rivoluzione digitale, avverto forse più di altri i contrasti e le frizioni derivanti dall’ avvento delle nuove tecnologie e i relativi cambiamenti nelle forme di comunicazione, il linguaggio, i risvolti sulle relazioni interpersonali, di cui mi interessano i risvolti spesso (tragi)comici.
MC – Ce differenza c’è tra i romanzi horror e weird?
V – Questa è una annosa diatriba alla quale ho cercato di dare una risposta esaustiva nell’ introduzione al saggio di cui ti dicevo sopra, anche se probabilmente una risposta davvero univoca non c’è, ti provo a dare in sintesi la mia umile opinione: se da un lato il racconto o romanzo dell’orrore tende a mantenere un legame, più o meno diretto ed esplicito, se non con la tradizione popolare quantomeno con degli spauracchi archetipici e atavici della tradizione mitologica e/o favolistica, ritengo ci sia una differenza di fondo negli scopi, per me il weird è un genere narrativo il cui obiettivo primario non è tanto necessariamente spaventare, quanto trasmettere un senso di inquietudine, o anche di angoscia, su un piano però più impalpabile da un lato, ma forse più persistente in un altro verso. Secondo me sì dovrebbe seguire questo parametro per identificare un genere che attualmente spazia non solo nel racconto con elementi soprannaturali, ma anche in storie di introspezione psicologica e finanche in scenari distopici particolarmente inquietanti.
MC – Magari non c’entra nulla ma mentre parlavi del Weird mi ha fatto venire in mente Hitchcock e di come sviluppava i suoi film.
V - il cinema di Hitchcock è sicuramente tra le mie fonti di ispirazione, pur non avendo lui diretto mai film di horror soprannaturale (il famoso Gli uccelli lo considero più un thriller atipico) tuttavia la sua tecnica di costruzione del senso di angoscia e di tensione è saldamente radicata nel nostro immaginario collettivo e gli siamo tutti debitori. La visione sin dall’ infanzia delle sue opere, soprattutto Psycho e Vertigo, mi ha indubbiamente segnato
MC – Come mai ti sei appassionato a questi generi in particolare?
V – la fiction speculativa, che sia di genere horror, fantascienza o giallo/mistery mi appassiona da sempre, sia nel cinema che nella letteratura. Del racconto di paura mi ha sempre affascinato non tanto la capacità di spaventare sic et simpliciter, quanto di raccontare in chiave metaforica e surreale angosce reali e quotidiane. Un po’ come nella funzione classica del racconto favolistico medioevale.
MC – Come riesci a dividerti tra il tuo essere avvocato, musicista e scrittore?
V – in realtà l’attività di scrittore mi è sempre riuscita più conciliabile per il fatto che ho sempre dormito poco (ho sofferto spesso di insonnia per buona parte della mia vita), quindi soprattutto nei primi anni scrivevo quasi sempre di notte, e di questo si trova un riferimento ironico nel titolo del mio primo libro “Le ore buie”. In passato mi era difficile conciliare soprattutto l’attività di avvocato con quella di artista musicale, facevo orari e ritmi assurdi che oggi, passata abbondantemente la quarantina, difficilmente potrei reggere. Il COVID sotto questo aspetto è stato uno spartiacque anche piuttosto traumatico, mi sono trovato di punto in bianco sradicato dalla mia routine lavorativa quotidiana, e di fatto segregato tra quattro mura, e lì ho ringraziato di aver sempre coltivato le mie aspirazioni artistiche grazie alle quali avevo un’àncora di salvezza mentale in quel periodo. Anche dopo non ho più ripreso i ritmi lavorativi del passato, da qui la decisione di incentivare il mio percorso nelle varie arti, avendo più tempo da dedicarvi. (credo che il covid abbia segnato molte persone nella loro quotidianità)
MC – ti vada parlare del tuo ultimo libro, di cosa si tratta?
V – Ippocorno e altri racconti è una raccolta di storie scritte a partire dagli anni 2010 a oggi. Mente il mio primo libro di racconti era nel solco delle classiche storie “horror”, sia pure con un dovuto virgolettato, qui spazio un po’ di più come generi. In un certo senso, ricollegandomi alla tua domanda di prima, si può dire che ho cercato di esemplificare quella concezione “allargata” del weird cui facevo riferimento sopra.
MC – Come mai hai deciso di chiedere a Diana di illustralo?
V –ho conosciuto Diana nel 2018 quando ha pubblicato per il mio editore il suo adattamento grafico de “Il mistero di Sleepy Hollow”, e mi ha colpito subito il suo particolarissimo stile, basato sul sapiente uso delle ombre, dei chiaroscuri e delle sfumature monocromatiche. Quando Moreno (l’editore) ha lanciato l’idea di accompagnare i racconti con delle illustrazioni ho fortemente voluto il suo coinvolgimento, ritenendo non solo che avrebbe dato valore aggiunto al libro ma che nessuno meglio di lei avrebbe potuto rappresentare le atmosfere che ho provato a infondere nei racconti. Prova ne è che ha saputo sottolineare in modo efficace i momenti salienti delle singole storie senza praticamente alcun bisogno di miei suggerimenti, tanta è la sintonia artistica e umana creatasi tra noi.
MC – Se ti va di condividere con noi uno stralcio del libro con una illustrazione lo puoi fare.
V – Seppure malata, agonizzante, sempre sull’orlo di un annunciato collasso, la
città sapeva rivelargli in certi momenti indizi di una vita segreta. Spesso,
nelle notti insonnia passate affacciato alla finestra del suo minuscolo
appartamento, gli sembrava di udire, nel silenzio di quello spazio urbano così
avaro di spazi verdi dove il canto degli uccelli era così raro, una sorta di ritmico
ansare a malapena coperto dal suono delle sporadiche auto che circolavano nella
notte. Talvolta percepiva una vibrazione bassa ma continua che si propagava
uniforme dall’ asfalto e ai palazzi. Un qualcosa che, in modo sottile,
risuonava sommesso in tutta la città e ai suoi stessi occupanti, ma di cui egli
soltanto sembrava accorgersi. (dal racconto “Notte sulla città “)
MC – Tra i vari racconti del libro quale è stato più facile scrivere e quale più difficile?
V – molti racconti di questo libro hanno avuto lunghe gestazioni e forti rimaneggiamenti nel tempo prima di arrivare alla versione definitiva. Per esempio Il canone napoletano e Una goccia di eternità erano rimasti a metà per molti anni prima che li riprendessi in mano trovandone la quadra e la chiusura. Altri erano idee che frullavano in mente da molti anni prima di trovare lo stimolo per metterle nero su bianco, come per esempio L’ultima seduta. Due racconti invece che mi sono usciti di getto e non sono stati successivamente modificati più di tanto sono Horus e Una pioggia senza nome. Forse perché nascevano come vivide istantanee di uno stato d’animo del momento.
MC – Come mai hai scelto questo titolo?
V – paradossalmente Ippocorno è il racconto cronologicamente più recente, sebbene dia il titolo alla raccolta e sia anche la storia che chiude il libro. In qualche modo ho pensato che questo animale immaginario già dal nome avente un carattere chimerico ed evocativo, suonasse bene per denominare il mio nuovo libro.
MC – Cosa vorresti che i lettori ti dicessero dopo averlo letto?
V – che li ha accompagnati in un piacevole viaggio mentale e li ha appagati e arricchiti interiormente.
MC – Cosa avresti voluto che ti chiedessi e perché?
V – mi hai fatto delle domande molto interessanti e non scontate alle quali ho risposto con piacere. Forse l’unica cosa che avresti potuto chiedermi in più (apparentemente, ma in realtà no) avulsa dall’ argomento, è se al momento sono felice.
MC – Sei felice?
V – in questo momento mi potrei definire, per usare le parole di Marcellus Wallace “pretty fuckin’ far from ok”, sebbene su alcuni versanti sia più sereno mentre su altri decisamente no. Essere felice non so se sia conveniente per chi è interessato a un discorso creativo/artistico, credo che il desiderio di creare o in generale di fare arte nasca, se non necessariamente da un disagio, comunque da una mancanza o da una urgenza insoddisfatta, quindi chissà, forse il giorno in cui dovessi diventare felice smetterei di scrivere, suonare ecc.ecc.
MC – Grazie per questa chiacchierata, alla prossima.
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