Ringrazio Roberto Roganti per aver pubblicato il mio racconto nel suo Blog.
Buona lettura ...
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La nebbia londinese, tipica come il tè delle cinque, in quelle giornate di fine gennaio era più densa del solito.
Sherlock
Holmes si strinse nel cappotto, cominciando a sentire i morsi
dell’umidità sulla pelle come la maggior parte dei suoi concittadini.
Questo lo irritava; per lui era un vanto essere al di sopra delle comuni
sensazioni, era essenziale distinguersi da tutto e da tutti. Era
consapevole che ciò lo faceva risultare antipatico, ma non gli era mai
importato di smussare gli angoli difficili del suo carattere; a fare
questo ci aveva sempre pensato il dottor Watson nei suoi racconti, un
amico prima ancora di essere un valido aiutante. Quella settimana però
era solo, il dottore era fuori per il fine settimana e anche questo lo
irritava. Aumentò il passo; voleva arrivare alla meta il più velocemente
possibile per controllare alcune carte attinenti a un caso e poi,
soprattutto, era quasi l’ora del tè. Allungò il passo e attraversò un
portone che immetteva in un cortile privato attraverso il quale
accorciare la strada per arrivare prima a destinazione.
«Accidenti alla nebbia!»
Mentre
entrava nel cortile questo pensiero lapidario fu mitigato dal fatto di
sapere che in soli cinque minuti sarebbe arrivato nel suo appartamento
caldo e accogliente. Uscì sulla strada, girò a destra come faceva sempre
e si bloccò in mezzo alla via. Non riconosceva più il luogo e la nebbia
adesso era diversa.
Come era possibile? L’illuminazione del tardo pomeriggio era diversa, la luce
era più luminosa e forte. La cosa non gli piaceva per nulla. Altri due
passi e si trovò a sbattere addosso a una donna più bassa di lui.
«Scusi, con questa nebbia non l’avevo vista!»
«Si
figuri, ho la sensazione di essermi persa e nemmeno sul cellulare
riesco a trovare l’indirizzo che devo raggiungere. Per caso è passato
vicino al civico cinquantacinque di via dei Stralli?»
«Cellulare? Via dei Stralli?»
Tra
tutte le parole incomprensibili che la giovane donna gli aveva rivolto
come un fiume in piena erano rimasti impressi quel termine e il nome
della via, cose che per lui non avevano alcun senso. Fece un passo
indietro e la guardò curioso. La donna che aveva di fronte indossava un
berretto di lana calcato sulla testa di un rosso strano, lo stesso
colore della sciarpa che teneva avvolta attorno al collo. La giacca, di
un materiale mai visto prima, era chiusa per bene, alle mani aveva dei
guanti dello stesso misterioso materiale, pantaloni stretti e delle
scarpe basse più da uomo che da donna. E poi... parlava l’italiano! A
Londra non c’erano molti italiani e lui aveva imparato quella lingua
perché un giorno aveva deciso che voleva conoscerla. Aveva pagato un
ragazzino perché gliela insegnasse, anche se quella che ascoltava ora
aveva un'inflessione leggermente diversa.
«Scusi madame, ma di cosa sta parlando?»
«Come parla lei, piuttosto!»
Ginevra, questo il nome della donna, lo guardò stupita.
L'uomo,
alto e segaligno, la stava fissando con interesse e con lo sguardo
pieno dello stesso stupore che aveva anche lei mentre lo fissava per
cercare di riconoscerlo. Perché quello strano uomo le ricordava
qualcuno: indossava un capotto lungo e antiquato, leggermente aperto sul
davanti, che mostrava l’abbigliamento sportivo sottostante formato da
giacca e pantaloni stretti a sigaro, tutto di un colore tendente al
grigio scuro. Nelle mani due guanti in pelle, la destra reggeva un
bastone con il pomello d’argento, aveva i capelli corti e pettinati
all’indietro e attorno al collo portava una sciarpa di uno strano
colore.
«Anche lei, le
assicuro, ha una strana parlata! Ma soprattutto com'è vestita! Ha un
abbigliamento che sembra molto comodo ma non adatto a una signora!»
«Parla lei che sembra uscito da un romanzo dell’ottocento!»
«Se non erro, siamo proprio nell’ottocento, mi sembra manchi ancora qualche anno al nuovo secolo!»
«Non so come dirglielo, caro signore, ma siamo nel duemilaventi! Credo si sia perso un secolo da qualche parte!»
Ginevra non riuscì a trattenere un sorriso lieve.
«Comunque, mi chiamo Ginevra Lorenzi e sono un'ispettrice di polizia, per l’esattezza un'ispettrice capo.»
«Lei
vuole farmi credere che siamo… addirittura due secoli dopo il
milleottocento? E che ci sono donne con il suo grado nella polizia? E
poi, mi scusi, dove ci troviamo esattamente, non mi sembra che questa
strada sia molto londinese...»
«Ma lei è serio o mi sta prendendo per il culo?»
«Che linguaggio!»
Holmes la guardò inorridito.
«Scusi non volevo offenderla...»
«Va bene cara signora, ricominciamo tutto da capo!»
Il
detective continuò a guardarla sempre più incuriosito, mentre la donna
era sempre più sicura che nel suo modo di fare e di parlare ci fosse
qualcosa di famigliare, anche se non aveva ancora capito cosa.
«Ci
troviamo a Modena, spero che sappia dove si trova questa città. L’anno
gliel’ho già detto prima, e io mi trovo qui aggregata dalla questura di
Treviso, dove vivo e lavoro abitualmente. E, tanto per la cronaca, le
donne in polizia ci sono ormai da più di trent'anni e, per fortuna,
hanno le stesse possibilità di carriera di un uomo!»
«Allora
mi deve spiegare come è possibile» disse Holmes indicando con il
bastone la direzione da dove era arrivato «che in quella strada, oltre
quel cortile, c'era la nebbia di Londra, la cara nebbia del mio
carissimo milleottocentonovanta!»
«Scusi, ma lei chi sarebbe?»
«Mi sembra ovvio: sono Sherlock Holmes, e vorrei proprio sapere cosa ci faccio io qui con lei!»
«Se
lei non mi sta prendendo per il c... in giro» cambiò rapida la parola
che stava per dire guardandolo sempre più sospettosa «e dalla sua
espressione, istinto di poliziotta, non sembra proprio, forse, dico
forse, potrebbe essere tutto vero e lei essere qui per un motivo più che
valido!»
«E sarebbe?»
«Aiutarmi a risolvere un mistero!»
«E
questo mistero sarebbe presso l’abitazione che stava cercando prima? A
proposito, cosa sarebbe quell'altra cosa che ha nominato?»
«Il
cellulare?» Ginevra lo fissò ancora un po' sospettosa, estrasse dalla
tasca il cellulare con cautela come fosse una pistola e glielo mostrò
«Questo è un telefono, uno smartphone. E' inglese, dovrebbe capirlo da
solo. Non fa solo telefonate ma molte altre cose; foto, registrazioni
audio, serve per ottenere informazioni e molto altro.»
«Che
diavoleria è mai questa?» l'innata curiosità di Holmes stava vincendo
la diffidenza e ora osservava curioso quello strano oggetto
«Interessante... ma perché si stava recando di corsa verso quella
specifica abitazione?»
«C’è una mia amica e collega in difficoltà che mi ha chiesto di raggiungerla. Devo solo capire dove si trova questo civico.»
Mentre
spiegava girò la testa oltre la spalla di Holmes e vide un cancello di
ferro con sopra un cartello che riportava proprio il numero
cinquantacinque.
«Eccolo!
Allora ti va di venire con me e darmi una mano per capire cosa è
successo? Oppure questo cambiamento di secolo e città potrebbe crearti
qualche problema?»
«Mi
sembra di capire che il lei non è molto usato in questo secolo! Va bene
la seguo... pardon… ti seguo!» le sorrise sornione «In fondo siamo
colleghi! Ma spiegami perché l’avermi incontrato non ti sorprende
molto!»
«Perché, mi
sono trovata a risolvere dei casi a Treviso in cui, il sovrannaturale,
se vogliamo chiamarlo così, mi ha accompagnato e aiutato più di un volta
ad arrivare alla conclusione delle indagini.»
Si incamminò verso il cancello, lo aprì ed entrò.
Il
cortile era molto piccolo e i gradini da salire per arrivare
all'appartamento solo un paio. Le luci erano spente. Ginevra accese la
torcia del cellulare. Holmes la guardò interdetto ma preferì non fare
commenti.
Salirono e davanti a loro si profilò una porta di un rosso acceso.
Era appena socchiusa; Ginevra la spinse ed entrò guardinga.
Alle
sue spalle Holmes, di due spanne più alto di lei, riuscì ad avere
immediatamente una visione più ampia dell'ambiente e si accorse subito
che vicino all'entrata c’era un’ombra, immobile.
Le
toccò una spalla col dito per indicarle ciò che aveva visto. Ginevra
mosse leggermente la testa e osservò insieme a lui il cadavere di una
suora appesa per il collo alla ringhiera della rampa di scale superiore,
i vestiti scomposti e il volto cianotico di chi è inequivocabilmente
morta.
«Elena, ci sei?»
Ginevra
chiamò l’amica, mentre si guardava attorno. Dall'interno si sentì un
lamento. La donna cercò a tastoni l'interruttore e, trovatolo, accese le
luci e si precipitò a vedere da dove proveniva il gemito. Trovò l'amica
raggomitolata in un angolo.
«Accidenti, cosa è successo?»
Le si avvicinò per vedere come stava.
«Non ne ho la più pallida idea...»
Lei si alzò a fatica e con l’aiuto di Ginevra si sedette su una sedia.
«Quando
ti ho chiamata, avevo appena visto per strada la mia informatrice che
scappava. Era travestita da suora, e già questo mi sembrava strano. Era
da qualche giorno che non mi rispondeva al telefono e la stavo cercando,
ero preoccupata.» si passò nervosa una mano tra i capelli «Volevo una
spiegazione per come si stava comportando e volevo sapere il motivo per
cui era vestita in quel modo. L'ho vista entrare qui, l'ho seguita, e
quando sono entrata dalla porta qualcuno mi ha colpito sulla testa.
Perché fai quella faccia strana?»
«Credo
che la tua informatrice sia stata ammazzata. E' appesa per il collo
alla ringhiera della scala.» Elena si alzò e lentamente andò a vedere se
era proprio lei la morta. Bastò una rapida occhiata.
«Hai ragione, è Pinky. ma come diavolo è successo?»
«Veramente non è stata impiccata ma uccisa con un pugnale di ghiaccio!»
Le
due poliziotte si girarono a guardare Holmes, sorprese. Ginevra si era
completamente dimenticata di lui e Elena non l’aveva neppure visto.
«E tu chi saresti?»
«Sherlock Holmes!»
Il
detective rispose leggermente irritato, poi si avvicinò al corpo
appeso, spostò leggermente il collo facendo vedere una ferita sottile,
proprio sotto la corda, da cui era uscito del sangue assorbito dal
vestito scuro che indossava la vittima.
«E
da cosa lo hai capito?» Ginevra fece un gesto della mano per far tacere
Elena che stava per chiedere spiegazioni sulla presenza
dell'investigatore «Siamo qui solo da pochi minuti e…»
«Non
ci voleva molto, bastava osservare la scena» Holmes iniziò una piccola
danza: prima indicò con il bastone le mani di Pinky «Se le osservate
bene, vedrete che non hanno nessuna traccia di difesa e» bloccò con un
gesto della mano l’obiezione che Elena stava per fare «nemmeno il viso
reca alcuna traccia di colluttazione, forse solo una leggera sorpresa.
Quindi, se guardate vicino alla porta» usò ancora una volta il bastone
per indicare il punto esatto «ci sono delle piccolissime gocce di sangue
e d’acqua. Questo vuol dire che appena entrata è stata colpita al
collo, è morta praticamente all’istante!»
Spostandosi di lato, mostrò dei segni leggeri che andavano dalla porta alla ringhiera dove si trovava il cadavere.
«Il
trascinamento è lieve, per cui la persona è abbastanza alta da essere
riuscita a sollevarla da terra, ma non così tanto da sollevarla molto
più in alto. Se poi vi avvicinate a dove è stata appesa» fece altri due
passi aggraziati intorno al cadavere appeso «vedrete che l’ha fatto
stando da questa parte, non è salito sui gradini, basta osservare la
cintura della sua veste da suora; allungandosi è riuscito a farla
passare attorno al collo della donna e poi tra le assi della ringhiera
per riuscire a impiccarla e questo indica chiaramente che appenderla
proprio qui è stata un'idea improvvisata al momento!»
Socchiuse gli occhi e guardò Elena prima di proseguire.
«Credo
che l’abbia fatto solo per il gusto di depistarla, obbligandola a
cercare soluzioni strane, così da allontanare i sospetti da se stesso.
Credo che il colpevole sia qualcuno che sia Pinky che lei» indicò con il
bastone Elena «conoscete molto bene. Ah, giusto per completare
l’analisi» si avvicinò ad una pianta vicino alla porta e indicò dietro
le foglie quello che rimaneva dell'impugnatura del pugnale «forse è
ancora in tempo per salvare qualche prova utile da quello che rimane!»
Entrambe
lo guardano a bocca aperta. Ginevra ritornò veloce dove aveva trovato
prima Elena, prese dalla tavola un bicchiere di vetro, e cercò di farvi
scivolare dentro quello che rimaneva del coltello; se erano fortunati
forse qualche traccia dell’assassino poteva essere rimasta attaccata al
manico di ghiaccio.
«Non ho ancora capito bene chi sia lei...»
«Mi sa che la botta sulla testa le ha offuscato un po’ l’area preposta alla compressione!»
Ginevra
vide che l’amica stava ribollendo come un fiume in piena e prima che
tracimasse intervenne, e, sapendo che tanto la verità non avrebbe potuto
comprenderla, visto che anche lei faceva molto fatica ad accettarla,
disse: «E’ un mio amico inglese. Nel suo paese è un ottimo investigatore
privato che collabora spesso con la polizia. Si chiama proprio come il
famoso investigatore. Strano, eh? Comunque devi riconoscere che le sue
osservazioni sono esatte e anche molto pertinenti. Ci torneranno utili
durante le indagini per capire in che direzione muoverci.»
«Se
posso aggiungere una cosa…» disse Holmes, dopo aver rapidamente
compreso che la soluzione adottata da Ginevra era la migliore possibile e
un’altra versione della storia avrebbe voluto dire un suo immediato
ricovero in qualche ospedale per malati di mente «…credo che
l'abbigliamento della morta, la sua informatrice, non sia casuale e
soprattutto per nulla legato all’omicidio in sé.»
«Perché dice questo?»
Elena continuava a guardarlo indecisa tra il sospetto e l'ammirazione.
«Per
un motivo molto semplice: se osservate quello che indossa sotto» con il
solito bastone alzò leggermente la gonna al cadavere «vedrete che ha un
abbigliamento un po’, diciamo così, audace.»
Entrambe
notarono che la finta suora indossava una lingerie molto sexy e molto
estrema. Si guardarono e capirono all'unisono chi era il colpevole e il
motivo per cui era stata uccisa.
«Dalla vostra espressione mi sembra di intuire che avete risolto il caso...»
«In effetti … per parafrasare una frase a te familiare: Elementare, Holmes!»
«Mai detto una cosa così assurda!»
«In effetti … compare solo nei film!»
Elena la fermò con gesto della mano.
«Il colpevole è la persona su cui stiamo indagando… con discrezione…»
«Sì,
Pinky era l’aggancio che ci avrebbe permesso di avere delle prove per
inchiodarlo. E' uno che ha importanti legami politici e molti soldi,
fatti probabilmente in maniera illecita anche se non siamo mai riusciti a
provarlo. Lei doveva darmi le informazioni necessarie per poterlo
finalmente arrestare, ma adesso…»
«Secondo me potete farlo ancora, se volete!»
«Senta, chiunque lei sia... Nel suo paese sarà anche un genio, ma qui se non abbiamo delle prove concrete...»
«No, so bene cosa vuole dire. Se guardate attentamente il braccialetto che ha al polso…»
Ginevra si avvicinò e per poco non imprecò per la sorpresa.
«Non avevo notato che...»
«Per fortuna nemmeno l'assassino!»
Il braccialetto aveva un piccolissimo gancio che sicuramente nascondeva uno scomparto segreto e che Holmes aveva subito notato.
«Hai perfettamente ragione, complimenti!»
Elena
prese dalla tasca della giacca dei guanti in lattice, li indossò e poi
con molta attenzione tolse il braccialetto dal polso di Pinky, lo aprì e
si trovò davanti una chiavetta USB personalizzata che raffigurava il
suo nome in acciaio e lattice nero. Forse lì dentro c'era tutto quello
che le serviva per poter arrestare il colpevole.
«Bene Sherlock, ti offro una pizza e risponderò a tutte le tue domande se vuoi!»
«Pizza?»
«Ginevra, sei sicura che nel suo paese è considerato un genio?»
«Sì!
Lo hai visto anche tu, no? Dai, chiama la centrale mentre io accompagno
fuori il mio nuovo amico. Credo sia meglio se non si fa trovare qui,
che ne dici?»
«Perfettamente d’accordo!»
Elena
prese il cellulare dalla tasca e chiamò la centrale mentre Ginevra
afferrava il braccio di uno Sherlock stupito ed emozionato per
quell'imprevisto contatto femminile, lo accompagnava fuori e gli
spiegava dove andare ad aspettarla. Lei lo avrebbe raggiunto appena
possibile.
Prima di lasciarla andare Holmes le chiese se poteva analizzare lo smartphone.
La
ragazza glielo allungò. Il detective lo annusò e non sentì alcun odore,
lo guardò in controluce e non vide nulla, lo toccò più volte e lo
schermo rimase nero. Quindi deluso lo restituì alla proprietaria.
«Bah, preferisco la mia lente d'ingrandimento...»
Mentre
la ragazza si allontanava ridacchiando nella nebbia della sera, Holmes
ripensò a tutte le cose bizzarre che aveva visto con la speranza di
avere da Ginevra una risposta per ogni domanda, e sarebbero state molte,
che le avrebbe fatto.
Improvvisamente un ometto affannato gli si avvicinò.
«Holmes! Ma dov'era?»
«Watson! Finalmente! Dov'era lei, piuttosto!»
«A fare due passi. L'avevo persa. Che ha combinato nel frattempo?»
«Ho dato una mano a un'amica. Su, torniamo in Baker Street. Non vedo l'ora di farmi una bella sviolinata...»
«Ma
che Baker street e Baker street! Non ricorda? Siamo venuti qui, qualche
giorno fa, in questo secolo e in questa città, con la macchina del
tempo! Ha perso la memoria, per caso?»
«Oh!
Ha ragione! Ecco io... forse il viaggio mi ha un po' scombussolato...
La mia mente... beh, ora funziona bene, le assicuro. Ho appena avuto
un'interessante esperienza. Ora le racconto, Watson!»
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