Ciao a tutti,
oggi pubblico l’intervista al Professor Daniele Cellamare, nato nel 1952 e residente a Roma.
È stato docente presso la facoltà di Scienze Politiche della Sapienza di Roma e presso il
Centro Alti Studi per la Difesa. È stato direttore dell’Istituto Studi Ricerche e Informazioni
della Difesa e ricercatore senior presso l’Istituto di Studi Politici San Pio V di Roma.
Ha collaborato con emittenti televisive nazionali (Tg1, RaiNews, Gr1, Radio Vaticana, etc.)
e con diverse testate nazionali e straniere. Attualmente è consulente per le attività
culturali dell’Agenzia Generale Treccani di Roma ed è responsabile del gruppo di analisti
“Doctis Ardua” per la stesura di saggi di carattere geopolitico. Appassionato di studi
sulla Storia Militare, ha scritto sei romanzi storici.
F.P: Professor Cellamare, nella Sua produzione letteraria vi sono due romanzi storici dedicati alla Cina: Il Drago di Sua Maestà e Gli Artigli della Corona. Due titoli particolari, che credo debbano
essere spiegati…
D.C: Si tratta di due volumi interamente dedicati alle due guerre dell’oppio, le guerre
volute dal governo della Corona di Sua Maestà per vendere l’oppio, prodotto in India dalla
Compagnia delle Indie Orientali, alla popolazione cinese. Anche se i rispettivi imperatori hanno
cercato in tutti i modi di contrastare questa drammatica spirale, con queste due guerre
le forze britanniche sono riuscite a ottenere enormi vantaggi grazie alla loro superiorità
militare e tecnologica, anche a costo di scatenere due guerre con innumerevoli perdite di
vite umane.
F.P: Da dove nasce l’interesse per la Cina e in particolare per le Guerre dell’Oppio?
D.C: Più che di un interesse specifico per la Cina, sono sempre stato affascinato dalle pagine
di storia poco conosciute dal grande pubblico, ma quasi sempre di grande interesse storico e
culturale. Tutta la mia produzione letteraria è orientata in questo senso, anche se si
tratta di ambientazioni che rendono più difficili e complicate le ricerche storiche.
F.P: Quali sono state le Sue fonti di ricerca? Ha visitato i luoghi descritti nei libri?
D.C: Ho avuto modo di visitare quasi tutti i luoghi da me raccontati, ma sempre e soltanto
per motivi turistici e raramente di studio. Preferisco utilizzare le fonti istituzionali
(archivi, documentazioni, etc.) o direttamente gli elaborati degli scrittori coevi.
F.P: Tra i vari personaggi di questi due romanzi, quali l’hanno affascinata maggiormente,
nel bene e nel male?
D.C: Sicuramente la figura di Cixi, una donna intelligente e astuta, che da semplice
concubina è riuscita a diventare imperatrice, anche facendo ricorso a inganni e astuzie che
non erano certo sconosciuti nella corte imperiale. Ancora oggi, la bibliografia su questa
donna è divisa tra la narrazione di una donna ambiziosa e crudele e quella di una donna
politicamente capace che ha dato il via alla modernizzazione della Cina.
Foto da Wikipedia
F.P: Il personaggio di Ching Shih, l’ex prostituta che divenne comandante della più grande
flotta di pirati della storia cinese, quello di Giada Preziosa, giovane serva molestata dal padrone,
che fugge per ottenere la libertà, e la figura della moglie di quest’ultimo, devota e sottomessa
al marito, ma che non esita a tradirlo, rappresentano tre immagini di donne cinesi del 1800 e
sono fonte di analisi. Da scrittore come ha vissuto le loro storie?
D.C: Mi è piaciuto raccontare le storie di queste donne, complesse e quasi sempre drammatiche.
A mio giudizio rappresentano tre diverse declinazioni della figura femminile in questo periodo
storico, animato da profondi cambiamenti politici e culturali. Anche queste diverse personalità
ben rappresentano il millenario e talvolta contraddittorio patrimonio di questa antica civiltà.
F.P: So che sta scrivendo un nuovo romanzo ambientato in Giappone… Può anticiparci
qualche dettaglio?
D.C: A costo di inimicarmi l’editore, posso solo confermare che l’area di indagine è quella
giapponese, che siamo nella seconda metà dell’Ottocento e che il personaggio è una
giovane donna legata alla figura del potente shogun.
F.P: Lasciamo da parte per un attimo l’Oriente. Ci può raccontare del Suo recente
libro Delitto a Dogali, ambientato in terra d’Africa?
D.C: Anche qui ci troviamo in una pagina di storia poco conosciuta, o meglio una pagina
di storia patria forse volutamente dimenticata. Siamo durante la prima epopea coloniale e
le nostre ambizioni (una colonia in Eritrea e il tentativo di conquista dell’Etiopia) ci hanno
portato due sanguinose sconfitte, la prima a Dogali e la successiva a Adua, con la caduta
del governo Crispi. Proprio a Dogali si consuma un delitto efferato ai danni di un sacerdote
e lo Stato Maggiore teme che il responsabile possa essere un soldato italiano, proprio mentr
e tutte le grandi potenze hanno gli occhi puntati su di noi, per la prima volta con il Tricolore
fuori dal territorio italiano. Le indagini vengono affidate a un giovane capitano del regio
esercito, ovviamente del tutto privo delle basilari conoscenze di una indagine poliziesca.
Ma è un bravo ufficiale e una persona onesta, e dopo aver ricevuto l’ordine riesce, pur
a fatica, a consegnare alla giustizia il colpevole dell’omicidio.
F.P: Per finire, un famoso scrittore cinese, durante un congresso, ha detto: “Per un autore i propri libri sono come i figli; tra tutti ce n’è sempre uno al quale il padre riserva una maggiore attenzione. È d’accordo?
D.C: Forse una maggiore simpatia, ma nel mio caso il riferimento di valutazione è solo nella
ricerca storica. Paradossalmente, i libri che mi hanno impegnato maggiormente nelle ricerche
sono i miei preferiti, anche se con diversi livelli di dedizione. In altre parole, mi sono tutti
molto cari, chi per un verso e chi per un altro.
Grazie mille, professore.
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