FIORI PICCO CI PARLA DI…
INTERVISTA A SIMONA ECO: VIAGGI, INTERCULTURA E IMPEGNO NEL SOCIALE
Ciao a tutti,
oggi vi presento Simona Eco, amica napoletana conosciuta in Cina nel 2004 e professionista di grande esperienza.
Scopriamola insieme leggendo il suo racconto:
Simona Eco
Ciao Simona, grazie per questa intervista. Ci conosciamo da vent’anni. Ci siamo incontrate a Kunming, nello Yunnan, nel lontano 2004. All’epoca vivevo da sola nella città cinese del Sud-ovest, non frequentavo occidentali, e un giorno ricevetti una tua telefonata. Mi sono sempre chiesta chi ti diede il mio numero. Vuoi svelarci questo mistero?
Ciao Fiori, sono passati così tanti anni! A volte la cosa mi sorprende, perché quel tempo (in giro come cooperante) è stato così essenziale che me lo sento ancora addosso, come se fosse ieri.
Per rispondere alla tua domanda, credo di aver avuto il tuo
numero da qualcuno che lavorava presso l’Unità Tecnica Locale dell’Ambasciata
d’Italia a Pechino. Mi fu detto di una giovane donna che viveva a Kunming da un
po’ e che era molto ben inserita.
Ogni volta che mi trasferivo in posti nuovi, cercavo contatti. Ho sempre amato
conoscere le persone del posto, ma mi piaceva anche trovare dei punti di
riferimento più “vicini”.
Sono grata per quella telefonata e per l’amicizia che ne è nata. Sei stata una delle persone che mi hanno fatto apprezzare Kunming, la Cina e la sua cultura affascinante.
Simona Eco e Fiori Picco a Kunming, nel 2004.
Fiori e Simona con il maestro Ma, loro insegnante di Tai-chi
A Kunming hai lavorato per Save the Children UK occupandoti dell’istruzione infantile. Raccontaci del progetto. Hai visitato le campagne dello Yunnan dove vivono le minoranze etniche. Quali hai conosciuto? Come è stata la tua esperienza? Che impressione ti hanno lasciato?
Il programma portato avanti da Save the Children UK nello Yunnan era molto ampio e riguardava diversi aspetti. Per quanto mi riguarda, ero coinvolta come Income Generation Specialist nello Yunnan Minority Based Education Program. Mi occupavo di:
● valutare un programma di microcredito rivolto alle scuole
● monitorare le attività generatrici di reddito portate avanti dalle scuole
● pianificare e implementare un programma di vocational training per studenti e studentesse
In pratica, le scuole cercavano di sostenersi attraverso attività produttive, in modo da poter garantire un servizio migliore.
Il programma si svolgeva in tutta la provincia dello Yunnan e sì, ho avuto modo di visitare le campagne.
In particolare, mi recavo spesso nelle aree di Weishan, Shuangjiang, Pu’er. Poi, ho visitato Dali, Lijiang, Diqing.
Non ricordo più
esattamente tutti i luoghi in cui sono stata, ma restavo sempre estasiata dai
colori e dalla ricchezza culturale. Prima di conoscere la Cina, lo immaginavo
come un posto tutto uguale. Avevo in mente la classica persona cinese Han e
invece mi sono trovata a scoprire un mondo di diversità incredibile!
Ho ancora negli occhi le risaie, donne ricurve sotto ampi cappelli di paglia,
uomini nei loro pantaloni arrotolati. E intorno banani, canne da zucchero e
tante biciclette. Ricordo case accartocciate accanto a grattacieli super
moderni.
In certi
luoghi mi pareva di essere indietro nel tempo, salvo alzare gli occhi al cielo
e vedere la striscia di un aeroplano o sentire la musichetta di un cellulare che
squillava tra le mani rozze e stanche della campagna.
In città, quello che mi colpiva era la quantità infinita di persone. Fiumi di
persone dappertutto. Sotto la pioggia Kunming si colorava di impermeabili in
bici. Era divertente. Mi manca andare in bici.
Sono entrata in contatto con diversi gruppi etnici: Han, Wa, Bai, Naxi, Miao e non ricordo più quali altri. Anzi, vorrei saperne quanto te. Mi aveva colpito molto la storia del gruppo Moso per la struttura familiare di tipo matriarcale, ma mi aveva anche intristita l’effetto del turismo occidentale.
Etnie cinesi
Cosa ti ha lasciato la cultura cinese?
Credo che mi abbia lasciato un senso di grande curiosità e
rispetto.
Curiosità, perché è immensa, millenaria, stratificata. Trabocca di diversità.
Direi infatti che è difficile parlare di una cultura cinese, perché è come se
ce ne fossero tante.
Rispetto, perché mi ha ispirato saggezza. Perché, per quanto fosse difficile per
me, trasuda delicatezza anche nei gesti. Un’attenzione che mi è rimasta, per
esempio, è quella di porgere sempre le cose con due mani piuttosto che con una
sola. Mi sembra una cosa bellissima, un modo per esserci del tutto per l’altra
persona in quel momento.
E poi c’è quel senso di lentezza, anche nelle relazioni, che mi è estraneo ma
che allo stesso tempo trovo affascinante. Una pazienza saggia, capace di
aspettare e ascoltare.
Il senso del dovere e la capacità di adattarsi a tutto: sono altri aspetti che
mi colpivano molto.
Poi mi stupiva l’importanza del senso di vergogna e la paura di perdere la faccia. Oppure l’imbarazzo di fronte a sentimenti di dolore.
Attenzione, non è sempre stato facile. Anzi, la Cina è stato un tempo duro per me, di grossa solitudine, per lo più dovuta a difficoltà nell’ambiente di lavoro, ma ciò non toglie bellezza alla cultura.
Hai viaggiato in Asia visitando il Laos, la Birmania, lo Sri Lanka e l’India. Che differenze hai trovato tra questi Paesi e quali punti in comune? Quali di queste Terre ti ha più affascinata? Parlacene.
Difficile fare una classifica. A dire il vero, ho ricordi
bellissimi di tutti. In ciascuno di questi Paesi ho pensato che avrei avuto
voglia di tornare e magari un giorno ci tornerò. Complesso anche fare un
paragone, perché ci sono stata in tempi diversi.
Il Laos fu un viaggio meraviglioso. Era il 2004 e il Mekong fu una grande
emozione.
Sono stata in Sri Lanka nel 2011 per lavoro, mentre ho fatto giusto in tempo ad
andare in Birmania nel 2018 e nell’India del Nord nel 2019.
Questi Paesi hanno in comune i paesaggi: acquosi, verdeggianti, tempestosi e “appiccicaticci”. Le zanzare, quelle ci sono dappertutto! I cappelli di paglia e la pazienza. Le biciclette e tanta frutta. Il piccante e l’agrodolce. Grattacieli e addirittura capanne quasi ripiegate su sé stesse. Non scorderò mai la periferia di Mandalay. Il tintinnio di templi e il richiamo luminoso dei grandi centri commerciali. La lentezza e quella luce ingiallita. Una spiritualità saggia e antica. Una filosofia che mi affascina.
Se dovessi scegliere adesso tra uno di questi Paesi, forse tornerei prima di tutto in India.
India
Bagan, Birmania
Hai un curriculum di studi corposo e specifico: una laurea in economia e commercio, due master in sviluppo internazionale e progettazione europea, diversi diplomi e parli quattro lingue. Come hai applicato realmente queste tue conoscenze e specializzazioni?
Direi che la
grande fortuna è stata fare lavori che mi piacciono. Davvero, al di là dei
titoli e dello studio impegnativo, il filo tra studi e specializzazioni è stato
proprio un percorso scelto con consapevolezza e allo stesso tempo cercato e
trovato anche un po’ per fortuna.
Il Master in Sviluppo Internazionale è stato molto importante per me: ha
segnato un prima e un dopo. È stato un tempo in cui ho maturato la scelta di
partire come cooperante, non senza una grossa fatica interiore, e ho iniziato a
scegliere con consapevolezza.
Per alcuni anni ho vissuto all’estero, lavorando con ONG e Nazioni Unite: prima in Albania, poi in Cina e infine in Angola. Rientrata a Napoli, con il desiderio di attivarmi per il territorio, ho creato la sede italiana di un’organizzazione di viaggi di volontariato e stage all'estero, in un momento in cui l'idea era piuttosto nuova. Ne ho seguito tutte le fasi e ho imparato tantissimo.
Poi, è arrivato il 2020 e si è stravolto tutto. In principio ho pensato che la vita mi stesse mettendo ancora una volta di fronte a me stessa e regalando un’altra opportunità di cambiamento. Non è stato affatto semplice e ho vissuto momenti di scoramento. Tuttavia, non mi sono mai fermata. Ho continuato a cercare fuori, ma anche tanto dentro di me. Ho sbagliato strada, sono inciampata, talvolta mi sono illusa, altre ho creduto di volere una strada che invece non era la mia. Ho continuato a studiare, mi è capitato di scontrarmi con un mondo del lavoro disorganizzato e disattento, ma anche di collaborare a progetti audaci con persone visionarie. Piano piano si sono aperte strade e soprattutto ho ritrovato energia.
Adesso porto avanti diverse consulenze. Mi occupo di comunicazione e avvio di progetti che definisco coraggiosi. Sono frutto di scelte autentiche, sentite e hanno una vocazione collettiva che condivido. In più ho ripreso ad occuparmi di corsi di lingua ed esperienze all’estero! Anzi, invito chiunque abbia voglia di fare questo tipo di viaggi a contattarmi.[1]
Come hai conciliato studi così tecnici con la passione per il sociale, per l’antropologia e per la scrittura? Il tuo è un animo artistico: pratichi la danza, lo yoga e sei creativa…
Una delle mie passioni è senza dubbio il viaggio, la
scoperta, la conoscenza di persone e culture. Inoltre ho sempre avuto voglia di
impegnarmi per il sociale.
Ho trovato il modo di mettere i miei studi in lavori in cui credo.
Inoltre, ho trovato il tempo di dedicarmi ad alcune passioni,
al di là del lavoro.
Siamo molteplici, multidimensionali e credo che sia fondamentale nutrire le
diverse parti che ci portiamo dentro. Per quanto mi riguarda, sto bene quando
tutte queste parti sono unite. In particolare, nel lavoro e nello studio, porto
sempre me stessa, con i miei impacci e i miei slanci.
Quello che mi resta di tutto il mio percorso professionale è senza dubbio un bel bagaglio di competenze, ma credo che l’aspetto più importante sia proprio quello umano.
È sempre un modo per tornare a me stessa.
Bagan tra i templi, Birmania
Hai dichiarato “scrivere a volte è un’impellenza, come se le parole mi piovessero addosso e finissero tra le dita”… Per te cos’è la scrittura? Un esercizio o un dono?
Mi capita di sentirmi impastata di parole, brulicante di riflessioni che bussano alle mani. Mi capita di trasformare in parole la vita che vedo e che vivo.
In pratica, mi sa che strimpello parole e ogni tanto mi riesce.
Forse il
viaggio è la dimensione che mi apre di più alla scrittura. Non sono brava a
scattare foto, ma mi viene spontaneo scriverle; non so quanto mi riesca, ma mi
viene naturale.
Credo che sia il mio modo di conservare i ricordi e allo stesso tempo la scrittura
è il modo in cui trasformo le emozioni.
Mi viene in mente Chandra Livia Candiani:
Ascoltando
Scrivendo
Scopro cosa sono
[…]
Leggo per abitare
Scrivo per traslocare
Un esercizio o un dono? Credo che sia entrambe le cose. Adesso a me farebbe piacere iniziare a studiare: per confrontarmi, per affinare l’arte di sceglierle le parole, anche un po’ per mettermi alla prova. Una di quelle cose che potrei fare per ore, senza accorgermi del tempo che va.
Yangon, Birmania
Parli anche di consapevolezza interculturale… Spiegaci il tuo pensiero.
Nella vita ho girato tanto. Ho vissuto in certi luoghi per anni e in altri ci sono stata per poco, ma sempre con grande attenzione e curiosità.
Scoprire e
ritrovarmi straniera è stata a lungo la mia bussola. Mi sono conosciuta più a
fondo. Lontana dalle abitudini e dalle aspettative, mi sono sorpresa di parti
di me che non mi aspettavo.
E ho incontrato persone e culture diverse.
M’incanta la miriade di culture possibili. M’innamoro delle diverse prospettive dello sguardo. Parlare con le persone negli angoli segreti del mondo è una sensazione che non scordo e che mi sostiene ancora adesso.
Consapevolezza
interculturale per me significa ascolto e significa tentare di abbandonare il
giudizio.
Vuol dire sapere che c’è tutta una storia (anche inconsapevole) che ci portiamo
addosso, che i luoghi stessi in cui nasciamo e cresciamo ci caricano di
credenze, abitudini, modi di fare, perfino di emozioni.
Tutto questo carico influenza gli occhi di chi guarda, così come l’aspetto di
chi è guardato.
Grazie, Simona, per questa intervista!
FIORI PICCO
Link di contatto di Simona Eco:
https://www.facebook.com/simona.eco
https://www.instagram.com/simonaeco/
https://www.linkedin.com/in/simona-eco/?original_referer=
Nessun commento:
Posta un commento